Tredici

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Fu un risveglio pesante e scuro. Respiravo a fatica. Non mi sentivo bene. Avevo dormito profondamente e appena aprii gli occhi, ebbi la netta sensazione di aver sognato per tutto il tempo. Incubi. Un susseguirsi di onde nere, schiumose, dense. Che mi avevano trascinato sul fondo e le correnti d'acqua salata che su quel fondo mi avevano trattenuto, mostravano lingue melmose. Un vortice mi risucchiava, lasciandomi in carenza d'ossigeno, poi il fondale gelido di quel mare spingere sulle mie spalle. Sabbioso, inospitale. L'incubo aveva assunto una forma di vita propria e si era chiuso su se stesso, svanendo. Così, mi ero svegliato sudato e spaventato. Mi ero sentito inerme di fronte a quella natura selvaggia seppur irreale.

Il primo desiderio fu scacciare quei pensieri. Una necessità così impellente da non volere altro. Fui grato all'infermiera che si materializzò quasi all'istante e constatai, forse solo in quel momento, che nella mia condizione la totalità degli eventi non dipendeva direttamente da me.

Dovevo reagire.

L'infermiera, appunto, una donna energica e diretta.

"Ha chiamato?".

"Vorrei alzarmi. Ci sono già i medici?".

"I medici?".

"Il responsabile del turno, o il primario per favore".

Lei rispose gentilmente e senza sarcasmo: "Mi spiace, deve attendere le visite".

Ero di fronte alla necessità di voler ottenere qualcosa che avrei voluto subito, ma l'infermiera era irremovibile.

"Non mi sembra di notare in lei nessuna emergenza. Mi spiace, ma dovrà attendere".

Mi serviva un "movente". Esattamente così: un movente. Le persone ascoltano meglio se fornisci una motivazione forte, in qualsiasi situazione. E cosa c'è di meglio di una motivazione travestita da movente?

"La Polizia mi ha detto che sono stato avvelenato".

Lei si allarmò, e rimase ad ascoltarmi.

"Sono un medico chirurgo. La prego, vorrei parlare con il primario, se possibile, sapere cosa hanno detto alla Polizia. Credo di sapere cosa possa essere accaduto", mentii.

Vidi la sua espressione cambiare, un evidente disagio le si figurò in viso. Sarebbe stato meglio essere meno diretto, pensai immediatamente.

L'avevo spaventata e non avrebbe avuto torto a non darmi retta. Così, maledicendomi per la pessima scelta delle parole, mi innervosii.

Nei minuti successivi non accadde nulla. E pensai che l'infermiera non mi avesse creduto.

E mentre ero ancora furente con me stesso per la pessima figura, mi venne in mente un dettaglio non proprio insignificante: il mio cellulare?

Perché non ci avevo pensato prima!

Guardai nel cassetto del comodino, vuoto. Allora mi chinai con fatica ed aprii anche lo sportellino più in basso, in formica e vecchio degli anni settanta (o ottanta), ma era vuoto anche quello.

Mi obbligai a pensare. L'ispettore di Polizia mi aveva detto che non avevo documenti. Non aveva però specificato nulla a riguardo del cellulare. Perché?

Non poteva essere che si fosse dimenticata di chiedermelo o di dirmi che lo avevano ritrovato. No, non potrebbe mai. Chiunque darebbe per scontato averlo con sé. Oppure, semplicemente, avendo appurato l'assenza di documenti, avevano pensato ad un furto. E quindi anche al furto del mio telefono. Non era andata così, pensai. L'ispettore aveva deliberatamente evitato di far riferimento al mio telefono. Perché?

Meditai a lungo sulla questione ma senza alcuna ipotesi valida.

Poi, accadde quanto già prima, lei ritornò.

Questa volta però la poliziotta non era da sola.

Subito dopo di lei, era entrato anche un vice procuratore della Repubblica che quando si qualificò, creò in me un'ulteriore preoccupazione sebbene rimase in silenzio per tutto il tempo, limitandosi a formalizzare la sua presenza.

Come per le volte precedenti, l'ispettore Grimaudo non perse tempo in inutili giri di parole, né in gentilezze. Andò dritto al punto, ma questa volta con maggior decisione.

"Tutta questa storia non mi convince e volevo che me lo spiegasse lei".

"Io?", le risposi conscio che il dialogo, in questo modo, non avrebbe funzionato.

"Le ho dato il tempo di pensare alle informazioni che le ho dato. Le confermo che si è trattato di avvelenamento. Dunque?".

"Continuo a pensare che si tratti di un errore".

"Ed invece non è così, mi dispiace. Abbiamo chiesto un'ulteriore perizia, che ha confermato: una dose massiccia di antiinfiammatori, molto concentrata in una piccola dose. Non sono prodotti da farmacia, e non sono neppure di facile reperibilità. Ci deve dire qualcosa, dottor Bonelli?".

Alzai gli occhi al soffitto. Avrei voluto penetrarlo, con dei super poteri. Sollevarmi e volare via da lì.

"Le ripeto che non credo che le cose siano andate così. Nessuno avrebbe interesse a farmi del male".

"Credo invece che lei sappia qualcosa e che abbia deciso di non rispondere", e visto che io continuavo a scuotere la testa, aggiunse: "Ha notato qualcuno, quella mattina, oltre la ragazza?".

"Continua a chiamarla –ragazza-", constatai ma senza sapere perché lo facessi.

"Lei c'entra qualcosa?".

Incrociai le braccia ergendomi dal letto come in un infantile segno di sfida: "No. Non l'avevo neppure notata quella ragazza e non capisco perché tutte queste domande".

Lei fece un passo indietro, breve ma rimarcato. Vestiva in jeans e scarpe con il tacco. Le mie solite ed inutili considerazioni dei dettagli, pensai.

"Ammettiamo che lei sia stato semplicemente derubato del portafogli e del telefono. Se fosse così, e non credo sia questa la dinamica, dovremmo capire se sia avvenuto prima o dopo il suo infarto. Se fosse stato prima, allora potremmo ipotizzare che le due cose siano slegate, ma lei dovrebbe essersene accorto; se fosse stato dopo, invece, allora dovremmo capire meglio anche la sparizione dei suoi documenti e del telefono cellulare. Capisce cosa intendo?".

Non capivo.

Non capivo proprio niente. E non comprendevo il perché si ostinasse a quelle domande. Ma come era possibile una cosa del genere? Io? Avvelenato? Come in una spy-story?!

E anziché guardare lei, guardai il procuratore, o qualunque fosse il suo ruolo, perché non sapevo neppure cosa significasse un procuratore. Sembrava assorto nei suoi pensieri, ma ero certo che fosse un'espressione facciale appiccicata con falsità per creare in me ulteriore tensione.

"Dottor Bonelli, è importante, risponda. La prego", disse l'ispettore Grimaudo.

Ricontrollai il soffitto, constatando che i miei raggi da super eroe non avessero funzionato. Provai a risponderle ma tutto ciò che mi venne in mente fu un grande, enorme, "enormissimo", "BOH!" che probabilmente mi si stampò sul viso in maniera così sincera, che infine mi credettero.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora