Quarantasei

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Sentivo il peso della giornata incunearsi nelle spalle, prendersi la spina dorsale e curvami fino al punto di rottura. Il dolore fisico che provavo aveva l'effetto di un disco seghettato. Per questa ragione, continuavo ad alzarmi e sedermi compulsivamente, nonostante i richiami di Toscani.

La Grimaudo, invece, non si era persa nulla dei miei cambi di postura, così come delle pieghe del mio viso che man mano sembravano consolidarsi in solchi, rogge asciutte di antiche valli.

Lei, al contrario di me, era rimasta immobile con la schiena dritta e rivolta verso la finestra, e senza dare l'impressione che i miei continui movimenti potessero crearle disturbo.

Mi stava studiando, esattamente come aveva fatto il primo giorno che mi aveva incontrato in ospedale, e la cosa mi metteva a disagio.

Allora, per ridurre la pressione che sentivo pervadermi, provai a trasfigurarle l'ispettore Grimaudo in un animale, e l'immagine iconografica che ne ebbi come risultato, fu quella di una mangusta in attesa del momento per sferrare il colpo mortale.

Soltanto che io non ero il classico cobra de il libro della giungla di Kipling, il pericoloso serpente reale che al termine del duello cadeva nelle fauci del piccolo carnivoro; io, semmai, nella migliore delle ipotesi, potrei essere paragonato ad un innocuo biacco di campagna.

Poi i miei pensieri furono richiamati dalla voce del capitano Toscani.

"Pensavo avesse detto di voler parlare", disse, "ed invece prosegue a piccole dosi e con silenzi lunghi. Possiamo andare più veloci?".

Guardai l'ufficiale e feci un cenno di assenso con la testa, ma le parole stentavano.

Ero confuso.

Pensai a mia moglie, a mia cognata. Pensai anche a mio figlio che avevo letteralmente abbandonato a se stesso. Forse, in quel momento, ricordai di essere un uomo, non un biacco, né una mangusta, né tantomeno un cobra.

Finalmente sentì le lacrime arrivare, che riempirono le rogge ormai secche nella mia pelle, donandole nuova vita, trasformandole in torrenti in piena. Così mi svuotai in un pianto che sapeva di lutto. Svuotato sì, e privo di forze, ma non era quello il vero motivo.

Toscani e la Grimaudo rispettarono in silenzio il mio pianto, e quando s'accorsero che l'onda di piena era passata, fu la seconda a parlare per prima leggendomi telepaticamente l'ultimo pensiero che avevo formulato.

"Suo figlio è qui fuori, che l'aspetta".

"Davvero? Posso vederlo".

"Non subito", rispose Toscani, "ci sono ancora delle domande a cui lei non ha risposto".

"Ma soltanto per un momento", dissi debolmente.

Toscani si limitò a dire no con la testa.

In quale parte del mio cuore era rimasto mio figlio? Qualunque cosa lui pensasse di me, me ne resi conto soltanto in quel momento, non lo sapevo, ed ora avevo fretta di saperlo.

Ma a quel punto, negl'occhi dell'ufficiale dei Carabinieri c'era soltanto l'attesa della risposta e, mi parve, l'interesse della verità.

Non mi rimase che accontentarlo: "Mio cognato, Michele, credo avesse l'intenzione di scrivere il suo testamento. Nel leggerlo non mi stupii affatto. Mio cognato è ricco e trovai normale l'intenzione di tutelare il suo patrimonio nel caso di un'improvvisa scomparsa".

"Continui", si limitò a dire Toscani come per dare un ritmo alle mie parole e per evitare che mi focalizzassi sui ricordi anziché sulla sostanza dei fatti.

"Doveva trattarsi di una memoria, di una bozza probabilmente da discutere con il suo avvocato o con un notaio. Ricordo che sul foglio vi era scritto una data, doveva essere quattro anni fa, il giorno ed il mese però non li ricordo. Oppure, forse, era l'inizio di settembre, o gli ultimi giorni di Agosto. Il testamento era scritto in modo schematico, per questo pensai si trattasse di una bozza. Lasciava tutto, o quasi tutto, a sua sorella, mia moglie Irene, tentando di escludere la moglie, cioè mia cognata Camilla De Luca. Ma non fu questo il dettaglio che mi colpì maggiormente".

Feci una pausa, per comprendere se fossi riuscito a spiegarmi bene, e questa volta il capitano Toscani non intervenne, mentre la Grimaudo sentì finalmente la necessità di accomodarsi su una sedia.

Io la guardai e lei scambiò lo sguardo, distraendomi per un momento, poi le parole proseguirono e la mia voce sembrò più fluida e non più la mia: "Non ero interessato ai beni o al denaro, non lo sono mai stato, tantomeno quello della famiglia che avevo sposato. Per cui non ricordo esattamente le proprietà riportate nella nota, e ancor meno le varie citazione dei conti bancari e degli investimenti. Sapevo bene di che sostanze fossero capaci, ma non mi era mai importato nulla. Ne godevo, è vero, ma non avevo ami ambito di possederle".

Entrambi i miei interlocutori parvero credermi.

"Cosa la colpì, allora di quel testamento?", chiese lucidamente il capitano Toscani.

"Tutta la mia attenzione si focalizzò nell'elenco dei quadri di enorme valore che Michele citava nella bozza".

"E la cosa la sorprese", ancora Toscani.

"Certo. Sono un appassionato d'arte, potrei sostenere di essere anche un esperto se non fosse che non ho alcuna qualifica in merito. In tutti i casi, i nomi degli autori di quei quadri non avrebbero comunque richiesto molta esperienza a riguardo, soltanto una minima cultura in merito alla storia dell'arte".

"Ma...", fu l'invito ancora di Toscani, e mi fu chiaro l'accordo preso con l'ispettore Grimaudo su chi avesse guidato il mio interrogatorio.

"... ma... pur sapendo che tra le proprietà di Michele vi fossero anche quadri di valore, non ero affatto al corrente che nelle sue disponibilità vi fossero opere di cosi enorme valore. Mi parve impossibile".

Toscani rimase in silenzio, così come la Grimaudo.

Pensai, che tra i due, la seconda fosse avvantaggiata nel comprendere il mio racconto conoscendo già la mia passione per l'arte ed avendole precedentemente raccontato di quanto avessi visto nascosto sotto la chiesa di Barcellona. Ed infatti, l'ispettore sembrò mettere meglio a fuoco le mie parole, ma al contrario delle mie aspettative, non intervenne comunque.

Così fu ancora Toscani a parlare:

"È evidente che sta parlando di quadri importanti. Ha però anche ammesso che suo cognato e sua moglie fossero ricchi, quindi perché stupirsi per quei quadri?".

Guardai l'ispettore Grimaudo, poi Toscani, e poi nuovamente la Grimaudo.

Esitai probabilmente qualche istante di troppo, perché Toscani ripeté la domanda sintetizzandola.

"I quadri, Bonelli, i quadri. Per favore".

Immaginai la stanza riempirsi di aria ed io sospeso nel centro come se potessi galleggiare. Ero certo che i due investigatori avrebbero più facilmente creduto a quella visione che alle mie parole. Forse, se fossi realmente levitato, e dato loro dimostrazione di capacità superumane, sarei sembrato più credibile.

E non potendolo fare, lascia andare dalla mia bocca le parole e rimasi in attesa che il suono ottenuto rimbalzasse nella stanza e che tornasse indietro con la carica aggiunta della loro incredulità.

"Un Klimt. Due Van Gogh. Monet. Picasso. Erano questi gli autori. E poi altri più o meno dello stesso periodo, meno noti, ma importanti".

Ed infatti, dagli sguardi che mi piovvero addosso, pensai di non essere creduto, ed invece non fu così. Toscani argomentò sul fatto che opere così importanti dovessero essere costudite in un luogo sicuro e che si sarebbe sorpreso se invece le stesse fossero a disposizione in una casa privata senza opportuni sistemi di allarme. In altre parole, ma io non lo compresi, mi credeva.

In altre parole, ma io ignoravo il fatto, lui sapeva già tutto.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora