Corso Re Umberto è un cliché della città borghese. All'apparenza può apparire come un corso alquanto anonimo, che parte dal centro della città ma senza farne veramente parte. È solo apparenza.
L'anonimato dettato da caseggiati alti e austeri, cela la gran parte dell'establishment torinese: avvocati, medici, industriali, antichi nobili, discendenti di famiglie importanti, politici, alti dirigenti.
Tutti immersi in una quiete soltanto apparente, in un via vai che a certe ore è appena impercettibile, quando le auto di lusso sono mostrate il meno possibile, e le servitù alloggiate nei grandi appartamenti, ma tenute nascoste.
Dove le amicizie che contano si frequentano, ma non si sbandierano.
E le proprietà sono luoghi in cui la vita è insospettabilmente più complicata di quanto si possa immaginare sebbene si pensi essere semplificata dal benessere dettato dalla posizione e dal denaro.
Perché non è mai il denaro a semplificare le esistenze, semmai il contrario, mischiando le cose con le persone. Eventualità che a me creava turbamento.
Tuttavia siamo in presenza di una vera e propria casta, eterogenea nella sua funzione, forse un poco decadente, a volte demodé, ma valente e capace di segnare i ritmi di una città intera.
Mio cognato Michele era nato al numero due di corso Re Umberto. La famiglia Bombati disponeva di un intero piano costruito in una casa costruita da suo padre che aveva prosperato in una solidissima reputazione nel mondo delle assicurazioni. Anni assai diversi da quelli attuali, e profitti che oggi sono impensabili o riservati a pochi.
Negli anni settanta e poi ancora negli ottanta, infatti, chi era stato capace di creare e consolidare le proprie fortune, aveva avuto un vantaggio tale che sarebbe poi risultato fondamentale anche in quelli successivi.
Vere e proprie rendite di posizione, per quanto la bravura, e la scaltrezza, di averle sapute creare non erano certo un punto di demerito.
Così era cresciuto Michele Bombati, e mia moglie.
Nella sua professione, diventato autonomo, Michele non solo aveva seguito le orme del padre, era stato capace, riconosciuta la prima vera occasione, di vendere tutte le attività di famiglia ad una multinazionale del settore per poi assumere il ruolo di responsabile della filiale di Torino arricchendosi così in modo definitivo.
Di tutto questo mia moglie non aveva ugualmente beneficiato perché destinata ad altri beni di famiglia. Cosa, devo essere sincero, non le aveva mai procurato invidia.
Tuttavia, ora che vi ho descritto il quadro d'insieme della famiglia, dovete tenere conto che nel giorno della morte di mia cognate, non erano questi status ad essere al centro dei pensieri di Michele.
Ricevuto l'SMS da sua moglie, era stato incapace di risponderle, e vagava a vuoto su e giù lungo il corso da oltre un'ora.
Non aveva risposto appunto e, ben presto, avrebbe scoperto di non poterlo più fare.
Quali fossero i pensieri che ribollivano nella sua mente e per quale ragione lo ignoravo.
Certamente era consapevole che lei aveva smesso di credergli: l'aver venduto le loro attività non era corrisposto all'abbandono di certi affari della "famiglia".
Ma non ebbe il tempo di formulare tutti i pensieri perché le volanti della Polizia arrivarono proprio sotto i suoi occhi con le sirene ululanti e la scia che sapeva di premura.
Michele le osservò stupefatto.
Attraversò la strada cercando di non farsi notare, poi si bloccò sul marciapiede opposto al suo ufficio, e arretrando verso un portone per nascondersi alla vista dei poliziotti.
Due auto della Polizia, giunte dalle due opposte direzioni, si fermarono proprio al civico 2 dove, in luogo della casa natale, vi era ora la sede della AKS, la multinazionale a cui Michele aveva venduto tutto, compreso i ricordi di una vita intera.
E mentre io ero ignaro di tutto ciò, perché ancora mi trovavo a Barcellona, la mia famiglia, o quella che credevo fosse anche la mia, si stava sgretolando inesorabilmente.
Michele osservò gli agenti bloccare il viale.
Si avvicinarono al citofono, ma senza ancora suonare il campanello né tentare di entrare.
Istintivamente cercò allora le chiavi dell'auto, ma constatò di averle lasciate in ufficio, così come quelle della sua abitazione in collina. Con sé aveva soltanto il telefono ed il portafoglio, vestito di una giacca elegante, una camicia bianca ed una cravatta blu cobalto che sul completo risultava perfetta: era la sua divisa di tutti i giorni: eppure in quel momento si sentì tremendamente a disagio.
Un rivolo di sudore gli si formò dietro il collo e la sensazione fu sgradevole.
Continuando ad osservare i poliziotti, Michele prese il telefono, dettò a voce il nome da chiamare.
Penserete stesse certamente chiamando Camilla, ne sono certo.
Ed invece no.
Chiamò un uomo.
Rispose al secondo squillo.
"Aspettavo la tua telefonata".
"Che cazzo le avete fatto?"
Disse questo, ma non attese la risposta, in fondo sarebbe stato troppo tardi.
Si guardò intorno, incerto.
Poi, Michele Bombati svanì nel nulla.
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A pelo d'acqua
Mystery / ThrillerAndrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita riportandolo nel suo passato. E poi c'è Jaspreet u...