Otto

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Tutto questo perché volutamente rimandavo il ragionamento a cui avrei invece dovuto dare la massima precedenza: cosa avrei risposto alla Polizia quando sarebbero tornati?

Perché certamente lo avrebbero fatto, così come avevano detto i poliziotti. I giorni, però passavano e gli agenti non si erano ancora visti.

Nell'attesa, misi alle spalle un'intera giornata, poi una nottata, poi ancora una mezza mattinata.

Poi, dalle dieci del mattino iniziarono le visite dei medici e degli infermieri.

Il decorso post operatorio "stava andando bene", disse il primo medico del giorno, anzi "molto bene", corresse il secondo medico, "ancora qualche giorno e poi giudicheremo quando dimetterla", con la sicurezza del caso. E, visto che non conoscevano la mia identità, entrambi ignoravano ancora che fossero di fronte ad un collega. Sarebbe cambiato qualcosa nelle loro affermazioni? Non seppi rispondermi ed in fondo non riuscivo neppure ad immaginare se fossi ancora in grado di esercitare la mia professione di chirurgo - l'infarto aveva anche azzerato le mie competenze? -

Per darmi una risposta, mi sforzai di tornare indietro nel tempo sull'ultima operazione che avevo eseguito: una valvola aortica che si ostinava a non controllare più il corretto passaggio del sangue. Tutto era filato perfettamente e la paziente aveva ritrovato la serenità.

Ne sarei stato ancora capace?

I Sumeri ed il loro abaco, li ricordavo bene, quindi pensai che anche in medicina avrei potuto continuare ad attingere al mio sapere.

E così, ritornai ai giorni precedenti, lasciando il tema della medicina in chissà quale cassetto della mia lista delle priorità. Ed ecco allora ripiombarmi nella memoria i momenti di poco precedenti l'infarto. Non fu piacevole: su tutto, emersero gli odori che avevo percepito prima di crollare, che di una città sono forse l'aspetto più orrendo. L'aspetto che invece non riuscivo a mettere a fuoco era l'esatto opposto. Un profumo, la fragranza che avevo percepito proprio poco prima di accasciarmi a terra perdendo i sensi.

Ed ecco venirmi in mente che ero davvero caduto, battendo la testa, proprio come avevano detto i medici ai poliziotti. Il ricordo ora era vivo in me; riuscivo a cogliere meglio la sfumatura di quel profumo. Era... ma non riuscii a decifralo, eppure c'era. Mi concentri soltanto più su questo, ma i pensieri si interrompevano con un ritmo causale e per un po' dovetti desistere.

Approfittando della presenza di un inserviente, avevo chiesto ed ottenuto un orologio che avevo fatto mettere sul comodino. Vetusto, ma pur sempre funzionante. Finalmente il problema di dover scandire il tempo, indovinandolo, era definitivamente risolto e non avrei più dovuto fare inutili supposizioni.

Ossessivamente, guardai il mio nuovo amico. Un quadrante rotondo, con le lancette sottili ed aguzze.

Erano le tre del pomeriggio, poi le tre e un quarto e poi ancora le tre e mezza. E così via per altre due ore a pensare alla sfumatura di quel profumo e a guardare l'inesorabile avanzare delle lancette. Era diventata un'ossessione. La mia nuova ossessione. E per via dell'incapacità di decifrare il ricordo, cercai allora di classificare mentalmente tutti gli odori che ricordavo.

Partii da quelli più semplici, ma nessuno combaciava con la fragranza che ricordavo. La menta dell'orto della casa di campagna. La camomilla. Le spezie conservate nell'armadietto in alto in cucina. Il sapone, che neanche a dirlo, nel mio bagno era sempre lo stesso da un numero indefinito di anni. Gocce di anice. E di grappa.

Allora mi spinsi in altre direzioni, ma con maggior fatica e con il timore che il mio ricordo forse in realtà fallace. Così, giunsero le sei del pomeriggio ed a quel punto quando già stavo desistendo, la porta della camera si aprì e fui costretto a rinunciare del tutto.

Erano tornati.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora