Trentasei

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Passarono ore senza più parlare, rimanendo seduti sulla sabbia con il mare a pochi metri. L'aria era fredda e l'umidità sfibrante. L'idea di dover passare la notte così ci sembrò l'unica possibile, senza dircelo, lo pensammo entrambi.

Un cane randagio sbucò da chissà dove, si avvicinò, ma capii che per lui non avevamo altro che i nostri pensieri e, scocciato per aver inutilmente allungato la sua strada, se ne andò svelto verso il suo destino che nessuno si era disturbato di programmare con cura. Sembrava libero di andare dove volesse, pensai, ma era anche schiavo della sua solitudine.

Controllai le tasche dei miei pantaloni: un altro dei miei gesti compulsivi consapevoli, ed inconsapevoli nello stesso istante, dai quali, ammisi a me stesso, non mi sarei mai liberato. Così dovetti soccombere al solito elenco mentale che facevo in quei frangenti.

Poi mi aggiustai il collo della camicia, tirai il fondo dei pantaloni fino alla massima estensione, poi ancora il collo della camicia, ed i pantaloni nuovamente.

Ero nuovamente in preda a tutte le mie paranoie.

Come ogni volta in cui mi toccava risolvere un dilemma, un dubbio che affaticava la mia capacità di controllare l'ansia e che non si decideva a liquefarsi chiarificandosi.

In altre parole, mi stavo preparando.

Ma preparando a cosa ancora non lo sapevo.

Mi voltai verso Jaspreet cercando le risposte, lei però sembrò assente, il suo sguardo si era spento.

Provai allora a giudicare quanto mi era accaduto da un'altra angolazione, eliminando le emozioni della giornata, cancellando per un momento il presente e concentrandomi sul mio passato, e la situazione mi sembrò all'improvviso cambiare in modo del tutto inaspettato.

I dubbi avevano da sempre connotato il mio carattere, e anche quel mio esasperante incedere nella vita a tentoni, soppesando ogni passo e soffermandomi a ragionare con eccesso di titubanza.

Cercai di scacciare via in un solo colpo tutta questa debolezza: "non sono io questo", dissi a me stesso.

E allora chi?

Pensai di andarmene, ma non lo feci.

Scalciai la sabbia dalle scarpe e mi alzai in piedi, ma in realtà non sapevo cosa fare né come comportarmi.

Ero in stallo, come gli aerei poco prima di precipitare.

Sentivo un'angoscia profonda, perché non ero abituato a guardare nello specchio del passato.

E tutti conoscono come finisce in quei casi per i piloti e per i passeggeri.

Poi arrivò un'onda a spaccare il silenzio fino a quel momento quasi totale.

Jaspreet anche in quell'attimo rimase immobile senza dirmi nulla limitandosi appunto alla sola presenza.

Mi avvicinai al limite del mare, sulla battigia, attento a non mischiarmi alla continua lotta tra la sabbia e l'acqua spumosa. Anche in quel caso, riuscii a soffermarmi su un pensiero all'apparenza inutile: il continuo avanzare dell'acqua e l'estenuante difesa della terra, un continuo alternarsi della natura. Poi, l'aria mi parve meno fredda, meno invadente, come se ci fosse una barriera a fermarla. Provai a rompere il silenzio con un mugugno, contemplando il nero dell'orizzonte in cerca di un'ispirazione e di trovare il modo per andarmene da lì.

Ma niente.

Mi voltai verso la strada dando le spalle al mare.

Tornai a pensare al mio passato, ma c'era come un blocco in me, qualcosa che non funzionava. E non era la prima volta che mi accorgevo di non avere ricordi. Questo era il tema principali delle discussioni con il mio terapista che poteva soltanto constatare questa mia incapacità.

Mi avvicinai a Jaspreet.

Forse lei sapeva, ma mi rendevo conto che fossi al limite tra i pensieri razionali e irrazionali.

Feci un passo verso di lei più deciso delle mie stesse intenzioni, lei si alzò allarmandosi.

"Molto di quanto mi hai detto non è vero? È così?".

Non riconoscevo neppure la mia voce.

Jaspreet mi guardò negli occhi e rispose: "Credimi, è tutto vero".

"A quale verità dovrei credere, Jaspreet?! Sono stanco. Perché mi hai coinvolto in questo tuo gioco?".

"Andrea, te l'ho detto, è per il fatto che tu abbia capito che il quadro esposto a Torino non fosse l'originale ed hai allarmato chi lo aveva sostituito l'originale".

"Non è così, c'è qualcosa di più. Devi dirmelo!".

Lei non risposte e questo mi fece propendere che fossi più vicino alla verità.

La mi voce divenne un filo d'acciaio.

"Devi dirmelo!".

Lei è come se prendesse quel filo invisibile e di colpo me lo stringesse alla gola: "Quello che non ti ho detto è che tutto è stato fatto a causa della tua famiglia. Andrea, la tua famiglia intera".

Non potei rispondere a quelle parole, né comprenderle perché in quel momento ai margini della spiaggia si materializzarono due auto della Polizia.

Scesero quattro poliziotti che non sembravano affatto gentili: con un megafono ci ordinarono di rimanere immobili.

E così rimasi, immobile, ma non come potete pensare voi.

Crollai sulle mie gambe.

L'ultimo pensiero di una rabbia feroce, lo ricordo bene: eccolo il mio passato arrivare a galla all'improvviso, capii in quell'attimo che avevo vissuto soltanto in superficie, senza mai immergermi nelle profondità.

Quello ero io.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora