Undici

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Era uscita dalla stanza senza voltarsi, senza aggiungere altro e, soprattutto, lasciando dietro di sé un mistero fatto di canne di palude. Rimanevano moltissime cose da fare.

Primo: non avevo alcuna sicurezza sul mio stato di salute e la colpa era soltanto mia, visto che mi ero ostinato a non volerlo sapere.

Secondo: la Polizia.

E visto che la mia impreparazione era maggiormente mancante sul secondo argomento, decisi di partire da quella, così il giorno dopo chiesi all'infermiera (la stessa persona del giorno precedente) se fosse stato possibile contattarla.

"Certamente, ha lasciato il numero nel nostro ufficio".

"La chiami per favore, grazie".

"Ha ricordato il suo nome, vero?"

"Sì", risposi e poi tacendo.

Per un po' ignorai l'orologio, poi iniziai nuovamente a contare i minuti, ma non mi sembrò una scelta pratica. Tentai di addormentarmi, ma fu l'ora del pranzo, che negli ospedali arriva sempre troppo presto. Mentre, invece, la Polizia non arrivava affatto, così chiesi nuovamente all'infermiera se l'avesse chiamata.

Sorpresa: non lo aveva fatto!

"Come non l'ha chiamata? Mi sembrava fossimo d'accordo!".

"Mi scusi, ma ho avuto altro da fare, non sono la sua segretaria, mi sembra".

Non aveva torto, ma mi fu immediatamente cristallino quanto la sua voce sapesse di menzogna, e che avesse deliberatamente ritardato di chiamare la Polizia solo per ripicca nei miei confronti, cose da poco ma maligne in fondo.

Così barai e quando io baro, sono disposto a tutto.

"Sono un avvocato. Decida: o chiama lei la Polizia, oppure comunicherò questo suo comportamento quando il medico a verrà a visitarmi".

In una espressione di sconfitta, e amaro in bocca, ottenni l'effetto desiderato: Se ne andò senza dire nulla, ma ero certo che questa volta avrebbe chiamato la Polizia.

Ed infatti, meno di un'ora dopo, l'ispettore con il nome da attrice, si presentò nuovamente davanti a me.

Entrò accompagnata da un viso serio.

Chiuse la porta dietro di sé, poi, vedendomi sorridere, ricambiò e quel sorriso cambiava le cose: ha ragione Ligabue, il cantante non il pittore, quando dice che certe donne "brillano", pensai.

Era proprio così il sorriso dell'ispettore Nicole Grimaudo, brillava sul viso, e per un attimo scappai lontano con i pensieri, come quando si guarda un paesaggio bellissimo che non potrai più avere sotto gli occhi. Lo vede, pensi che lo rivedrai ancora, perché ti impegni mentalmente a ritornare in quel luogo magico, ed invece è l'ultima volta.

L'ispettore aveva anche cambiato pettinatura, o così mi sembrò, ma non feci alcun riferimento alla novità del suo aspetto, né al sorriso. Ero abituato a non parlare mai di me stesso e pronunciare qualcosa degli altri mi era totalmente precluso dalla mia inadeguatezza nei rapporti sociali. Niente infatti, per me, è più intimo di esternare le emozioni che generano gli altri al mio io. Un disastro totale.

Lei si avvicinò ad una sedia, si accomodò con naturalezza. Poi parlò.

"Dunque", iniziò proprio in quel modo e per un numero imprecisato di istanti non aggiunse altra parola, dimostrando dote di sintesi e sagacia. Non mi feci distrarre dalla pausa ad effetto; ero fermamente intenzionato a sostenere quel colloquio e mi ero preparato a farlo. Prima di tutto, avevo deciso di tenere l'ordine delle cose separato dall'ordine delle persone. Un modo di procedere per me essenziale.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora