Superata la caserma in via Cernaia, mi addentrai in un piccolo giardino e mi sedetti su di una panchina. Pioveva, ma non me ne curavo. Quei ricordi fluivano copiosi, come le gocce d'acqua che mi stavano inzuppando i vestiti, ma anziché essere molesti, sembravano invece guarirmi. Finalmente liberi di riemergere dopo anni di prigionia celebrale, come se la mia mente fosse stata un campo di concentramento: non li aveva annientati, ma li aveva spinti oltre il limite dell'oblio.
Ed ora, invece, eccoli arrivare, ma vi assicuro non vi piaceranno.
L'uccisione di un poliziotto messa ai voti e per sua, e nostra, fortuna bocciata. E le urla che erano seguite in quella stessa riunione per non aver raggiunto l'accordo. Il denaro che passava da mani ad altre mani, le prime ricche e sporche, le seconde solo sporche. E quest'ultime pronte ad utilizzarlo per gli scopi più biechi. E altro, molto altro ancora, e nulla di buono da raccontare.
Renato e Diego?
Non lo ricordavo esattamente chi fossero o forse non lo sapevo neppure allora.
Uomini, con i passamontagna neri dai quali echeggiavano i lampi dei loro occhi. Visi cosi tesi da rendersene conto anche sotto quella copertura, e li ricordavo già allora, consapevoli dell'inutilità delle loro gesta. Eppure non sembravano destinati a fermarsi in quella spirale di violenza in cui si erano gettati. Che neppure i più capaci angeli avrebbero potuto tirarli fuori da lì.
E mi rendevo conto, passo dopo passo nei ricordi che si cristallizzavano, che ancora non mettevo a fuoco la gravità del fatto che più mi riguardava: quella era la mia famiglia.
I mandanti, i capi.
Non potevo neppure negare che il problema centrale fosse ancora un altro, che mi continuavo a porre in forma di domanda: io ero parte di loro?
Mi alzai dalla panchina, e feci ancora qualche isolato tenendomi dallo stesso lato della strada. L'acqua si era fatta più intensa, e dei miei vestiti nulla era più asciutto. Entrai in un bar, ma non avevo desiderio di nulla.
Per evitare l'imbarazzo con il barista, chiesi un bicchiere d'acqua, che neppure un caffè non mi sarebbe andato giù. Me ne andai poco dopo ritrovandomi sulla strada sotto lo sguardo per nulla intenerito del gestore.
Ormai ero quasi nei pressi di casa mia. Camminando, mi voltai più volte. Che fossi seguito, lo davo per scontato. Un po' di lucidità mi era rimasta. Probabilmente erano quei due uomini che camminavano sul lato opposto della strada e che avevo già notato prima di entrare nel bar.
Che venissero a prendermi. Non avrei detto una sola parola, pensai ingenuamente.
Allungai il passo e ripensai mestamente alla mia famiglia. Della fotografia non rimaneva che Michele: mio suocero era morto, così come mia suocera e mia moglie. Camilla invece era arrivata dopo quel periodo. Michele l'aveva conosciuta quando ormai aveva trentacinque anni e tutto era già finito. L'avevo presentata io a lui.
Michele... non avevo la più pallida idea di dove fosse e, lo pensai soltanto in quel momento, se fosse ancora vivo.
Fu l'ultimo pensiero. I ricordi si frantumarono spezzandosi come cocci di vetro in un solo attimo ed ebbi l'impressione che mi ferissero. Mi sentii evanescente, in balia del volere degli altri.
Non ero più il solo su quel tratto di strada.
Lei si era materializzata davanti a me.
Mi guardò sottecchi. Si avvicinò.
Mi prese la mano.
Aprì la bocca, ma parlò soltanto con gli occhi.
Gli occhi di Jaspreet.
"Andiamo via".
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A pelo d'acqua
Mystery / ThrillerAndrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita riportandolo nel suo passato. E poi c'è Jaspreet u...