Quindici

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Il giorno seguente passò veloce e non cambiò nulla dello stato delle cose, né delle persone (argomenti che io continuavo interrottamente a tenere separati).

Nei rari momenti di tranquillità che la giornata mi aveva dato, si susseguirono visite di parenti e amici più stretti a cui in realtà avevo vietato di venire ma senza successo. Il flusso dei visitatori mi diede quindi modo di concentrarmi soltanto più sulle persone.

Metodicamente, come se fossi io l'investigatore, provai a fare un elenco delle persone che potevano volermi male al punto di tentare di uccidermi.

Dopo mezz'ora non avevo messo nessuno nella lista, né dopo un'ora. Poi ci fu il lungo intermezzo del pranzo che portò alla cena, ed infine il susseguirsi di nuove visite, al termine delle quali nessuno si inserì in quella speciale lista di "sospetti".

E più vuota rimaneva, più mi sentivo impigliato in quella che mi parve essere una vera e propria rete.

Così, cercando di liberarmi, dovetti ammettere che l'unica soluzione fosse di inserirvi almeno un nome che mi potesse liberare da quello stato, ed approfittando di un momento di tranquillità, mi convinsi di introdurre nella lista il primo nome: Jaspreet, chiaramente.

Fui stupito dell'efficacia di quella decisione: l'aver iniziato con il suo nome, mi permise in poco tempo di aggiungerne altri.

In breve, quella che prima era una pagina vuota, divenne una lista di nomi, non lunga, ma pur sempre un elenco di persone che avrebbero avuto almeno una ragione per uccidermi. E con sorpresa, constatai che nella lista vi fosse un solo nome al quale non avevo saputo affiancargli una motivazione: Jaspreet, ancora lei.

Non la conoscevo, non l'avevo mai incontrata prima, dunque quale ragione avrebbe potuto avere?

Per tutti gli altri nomi, invece dovetti sforzarmi ad annotare una motivazione che fosse un poco convincente, am la trovai. Al termine di quella lunga operazione mentale, però, dovetti ammettere a me stesso che neppure sommando tutte quelle ragioni insieme, di tutte quelle persone, avrei potuto asserire di aver creato una vera e valida motivazione.

In altri termini, ben più precisi, non disponevo di nessun movente.

Dovetti allora ricominciare da capo, e questa volta lo feci partendo dal fondo di quella rete in cui mi sentivo nuovamente imprigionato.

Scelsi un metodo di eliminazione togliendo ad una ad una tutte le persone che avevo inserito in quella lista.

Non poteva essere stata la mia segretaria per la sola ragione che la schiavizzassi (perché la sua schiavitù mi sembrava ben pareggiata dalla mia generosità).

Non credevo che potesse essere stata mia moglie per il solo fatto che mi detestasse (ritenevo infatti che una eventuale richiesta di separazione le potesse sembrare una giusta dimostrazione di odio e un metodo efficace per liberarsi di me);

Non pensavo potesse esigere tanto mio figlio perché in fondo gli avevo sempre voluto bene e perché escludevo a priori di aver cresciuto un assassino.

E neppure mia cognata che mi adorava apertamente; né mio cognato che mi snobbava (e l'essere snob non includeva certo la volontà di eliminare l'esistenza altrui).

Infine esclusi anche il mio datore di lavoro, il proprietario della clinica dove prestavo i miei servizi: mi doveva molti soldi, ma al quale facevo guadagnare molto di più del suo debito ed eliminarmi gli sarebbe risultato controproducente.

A quel punto, non mi venne in mente nessun altro.

Ed allora la mia lista rimase inesorabilmente vuota.

E così non rimase che... Jaspreet.

Ero al punto di partenza.

Quando la giornata sembrò non dire più nulla, una duplice novità la riempì di attesa.

Alle 20 chiamò l'ispettore Grimaudo: avevano trovato il telefono.

Alle 20,30 arrivò il primario: mi avrebbe dimesso.

"Quando?".

"Domani, se segue quanto le chiedo".

"Domani, allora".

Poco dopo richiamai il commissariato di zona. Chiesi dell'ispettore e la sua voce arrivò nella comunicazione.

"Sono Grimaudo".

"Sono Andrea Bonelli".

"Buonasera, ha novità?"

"Non ho un movente, se intende questo", ma il tono era scherzoso e lei lo capì, "e neppure un colpevole, però mi rilasciano domani!".

L'ispettore Grimaudo colse facilmente l'allusione, ma anziché continuare con il tono allegro a cui mi ero affidato, cambiò decisamente il ritmo della conversazione.

"Dobbiamo parlare, domani, subito. Vorrei che lei venisse qui in commissariato. Le mando un'auto a prenderla in ospedale".

"Mi sembra eccessivo".

Ignorò l'obiezione.

"Mi dica a che ora".

"Le ho detto che mi sembra fuori luogo, ed è fuori discussione. Ho pensato a tutto, a tutti, e le confermo che la vostra tesi è sbagliata. Non è possibile che io sia stato vittima di un tentato omicidio. La prego, finiamola qua".

"Allora vengo io, adesso".

"Ma adesso non si può", dissi stupidamente pensando all'orario di visita.

Lei sospirò per la mia ottusità e quindici minuti dopo fu nella mia stanza, ma non da sola.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora