Capitolo 32 - Sean pt. 4

182 5 0
                                    

"Per lo più vorrei parlarti nei baci. Così riuscirei a spiegarti il mio bisogno di te. La mia sete di te."
-Pablo Neruda, Lettere d’amore

Dopo che Jane è stata in bilico tra la vita e la morte per dissanguamento, o chissà cos'altro, mi sono sentito irrazionalmente più leggero.
Penso che probabilmente la paura è stata così tanta, così opprimente in quei momenti che ne percepisco sensibilmente la sua assenza.
Oltre i pensieri su Erick e il giro, dall'altra parte c'è un tarlo sempre fisso nella mia mente che si fa più persistente sopratutto quando la vedo che in difficoltà prova a fare dei movimenti che le causano dolore.
Non sarebbe di certo successo se non si fosse avvicinata a me, ed io avrei potuto evitarlo, e da una parte lo volevo, ma sono stato egoista e l'ho lasciata avvicinare.
Spero che Kate ed April le stiano per lo meno portando i libri.
Sbuffo, accendendo una sigaretta vicino la finestra e portandola alle labbra.
Dietro di me un ragazzo della mia classe, borbotta qualcosa probabilmente lamentandosi del fumo e se fosse un giorno si la spegnerei anche, ma mi sta enormemente sulle palle, con l'aria da riccone viziato con la puzza sotto al naso, che guarda tutti con uno sproporzionato senso di superiorità, quando senza i soldi di papino non farebbe niente.
Si difende dietro la figura del padre e si fa avanti solo quando deve darsi delle arie, probabilmente se si spazzasse un'unghia reagirebbe peggio di una ragazza.
Sorrido, Jane non ha fatto una piega sul fatto di essere stata sparata, mentre al secondo anno il damerino profumato qui dietro è diventato isterico perché una ragazza ha toccato i suoi capelli.
Sento picchiettarmi sulla spalla e mi giro, "Senti non puoi spegnarla? Mi si attacca tutto il fumo sui vestiti."
Aspiro profondamente e sputo il fumo dritto nella sua direzione, "Posso spegnerla nei tuoi occhi, se proprio devo." Lo fisso annoiato.
Indossa una maschera scandalizzata e alzata la mano, la professoressa ci mette un po' a notare la sua mano alzata, "Si, signor Sanders?"
Sanders schiarisce la gola prima di parlare altezzosamente, sono sicuro che andrebbe d'accordo con Jessica se solo lei lo reputasse del suo livello, "Sean sta fumando in classe, non lo vede? Lo faccia smettere."
Alzo un sopracciglio pigramente, "Non vedo il perché di tutta questa confidenza." Dico svogliato. 
Nella classe vige un silenzio religioso, gli occhi sono tutti puntati su di me infatti scrollo le spalle, desiderando che la sensazione di essere così al centro dell'attenzione cada come un velo.
Sono abituato ad essere osservato, ciò non vuol dire che la maggior parte delle volte non sia inquietante.
"Ci provi lei, signor Sanders, se ci riesce." La professoressa liquida l'argomento con un gesto spazientito della mano.
Io e lei ci conosciamo da quando ho messo piede in questa scuola e all'inizio non le dava pace questo mio atteggiamento strafottente e menefreghista, non si dava per vinta e mi mandava sempre dal preside, poi ha perso le speranze e tra noi si è instaurato un equilibrio precario: lei ignora me, io ignoro lei.
"Ma non può caversela così!" Sbotta.
La professoressa gli lancia un'occhiataccia, probabilmente irritata dall'insistenza di Sanders.
"Sean..." prova a richiarmi svogliatamente lei.
"Professoressa." Dico io, facendole capire che non farò nulla.
La vedo reprimere un sorriso vittorioso, credo che anche a lei stia sulle palle Sanders.
Si passa i capelli sulla chioma bionda, probabilmente tinta, è un'insegnante piuttosto giovane rispetto agli altri, o comunque gli anni che ha li porta bene, attira infatti molti sguardi languidi nei corridoi degli insegnanti, che appena incrociano il suo sguardo lo distolgono fulminei perché sposati.
Gli studenti d'altra parte, la apprezzano molto, la definiscono quasi una di noi, probabilmente per la sua apertura mentale.
La campanella suona e la professoressa sbuffa, "Sanders ti sei beccato una bella nota."
Dentro di me rido.
"Cosa!? E perché!?" Esclama scioccato il damerino.
"Hai interrotto la mia lezione." Minimizza lei.
"Ma non può farlo!" Piagnucola Sanders.
"Posso invece, e l'ho già fatto. Vuole anche una sospensione?" Ribatte lei, godendo dei poteri che possiede, con un sorriso cortese finto, che in realtà esprime sfida.
Sanders rimane zitto, la professoressa ci congeda ed io esco velocemente dalla classe.
Gli studenti gremiscono i corridoi, per posare libri e quaderni negli armadietti e dirigersi veloci in mensa.
Da lontano vedo Metthew in fondo al corridoio farmi cenno di avvicinarmi ma mentre mi avvicino, vedo Jane, che un secondo prima parlava serenamente con Kate ed April stringere le labbra in una smorfia di dolore perché Jessica è passata accanto a lei dandole una spallata, di proposito, ma va avanti, facendo finta di non averlo nemmeno sentito, di non averlo fatto di proposito.
Porta la mano sul maglioncino azzurro chiaro che comincia a scurirsi, affretto il passo verso di loro, vedendo nel frattempo April e Kate preoccuparsi e Metthew chiederle se va tutto bene.
"Hai portato qualcosa?" Le chiedo, esaminandola.
Annuisce, "Si, nel mio armadietto." Lo indica dietro di sé e inserisce la combinazione aprendolo.
Mi passa un pacco di fazzolettini e un rotolo di garza che prendo e metto dentro la tasca grande della felpa, mi volto e mi trattengo dal sussultare quando trovo a pochi centimetro da me, il viso contrariato di Sanders.
Cristo, oggi vuole proprio prenderle.
Lo guardo negli occhi, "Spostati."
Nasconde il suo timore, dietro una maschera spazientito e, ancora una volta, altezzosa. Non crede che possa pestarlo veramente.
"Senti dovresti smetterla di fare quello che vuoi, non ne hai il potere." Afferma, col labbro tremante.
"Se questo ti fa sentire meglio, pensalo pure." Lo liquido, lanciando un'occhiata a Jane che prova coprire la chiazza di sangue che si allarga.
Faccio un passo avanti, ma Sanders è decido a mettersi in mezzo, spazientendomi definitivamente quando dice "Qualcosa ti interessa eccetto la tua puttana!?" Sbraita lui, indicando con la testa Jane.
"Sanders, ho cercato di risparmiatele, ma tu te le cerchi." Lo sollevo infuriato dal colletto dalla camicia, stampandogli un sonoro pugno sulla faccia, quasi istantaneamente il sangue comincia a colargli dal naso, scendendo fino al mento, macchiando la camicia.
Gliene assesto un'altro nell'addome spezzandogli il fiato, "Vedi di non rompermi più i coglioni, Sanders." Lo butto a terra, sollevando lo sguardo e  trovando gli occhi di tutti gli studenti puntati su di me.
L'unico in grado di fermarmi veramente a Metthew, un po' per la forza un po' per l'umanità che mi ricorda, ma lui capisce che non deve farlo.
Mi volto verso Jane e con un movimento leggero della testa la sprono a seguirmi, Sanders come un topo scappa e io vado dritto nel bagno delle femmine.
Le tolgo il maglioncino delicatamente, attento a non farle male, dopo aver buttato fuori una ragazza per l'ennesima volta e aver chiuso la porta a chiave.
Lo poggio sul lavandino e comincio a strotolare le garze, "Ti fa molto male?" Chiedo con premura ma lei scuote la testa, "Prima si, ma adesso no, ho preso degli antidolorifici sta mattina." Annuisco, tappandole il sangue attorno alla ferita che sembra avere un aspetto migliore. Inumidisco un fazzolettino, passandolo ancora sul torace.
"Non hai un cambio, vero?" Le chiedo.
Scuote la testa ed io, dopo averle messo delle garze pulite, mi preparo al freddo e mi tolgo la felpa e l'aiuto ad indossarla.
"Non hai freddo?" Domanda ammorbidendo lo sguardo e poggiando una mano sul mio petto, di cui induriscono i muscoli di riflesso.
"Sopravviverò." Le aggiusto una ciocca di capelli caduta sul viso, dietro l'orecchio.
"Grazie." Mi guarda, "Per prima, dico."
Sul mio viso nasce un sorriso sghembo, "Un vero piacere, ha rotto le palle tutto il giorno."
Sento la rabbia e la tensione sivolare via, disarmato ancora una volta dal suo sorriso.
Scuote la testa, incantandomi per un attimo con i suoi occhi.
Poi si volta, dopo aver afferrato il maglioncino "Sarà meglio andare a mensa, prima che finisce tutto."
Io la seguo, guardando il suo culo che ondeggia ad ogni suo passo e un suono simile a una frusta, attravversa la stanza.
Non ho potuto fare a meno di darle una sonora scullacciata ed è stata impagabile quanto la sua espressione stupita e arrossita.

"Sta sera, spaghetti al sugo take-away" esclama Kate sorridendo, affiancata da Metthew con le mani occupate a tener i sacchetti.
April divide i piatti di plastica sulla tavola, mentre Jane manda giù le pillole in un sorso.
Kate divide la pasta in porzioni, servendoli nei piatti e poco dopo ci ritroviamo a mangiare.
"Sono davvero buoni, dove li hai presi?" Chiede Jane, mangiando con gusto gli spaghetti, arrotolati nella forchetta.
"Un ristorante Italiano, si dice che lo chef sia originario dell'Italia." Afferma Kate, con un espressione che vanta soddisfazione per la scelta della cena.
"Se in Italia cucinano così, credo proprio che andrò a vivere lì." Jane geme mentre assapora ancora una volta la pasta, inevitabilmente smuove qualcosa nelle mie mutande.
"Non è male." Borbotto, provando a distrarmi. 
Sentendomi osservato giro la testa in direzione di April che trovo a fissarmi senza un minimo di pudore, con gli occhi leggermente socchiusi.
È inquietante anche questo.
Alzo un sopracciglio e lei schiarisce la gola, "Sai è strano."
E tu non sei da meno, rossa.
"Cosa?" Chiedo quindi.
"Dagli sguardi degli studenti si capisce che ti hanno come... divinizzato." Sceglie accuratamente la parola, "Quasi come se fossi intoccabile, come qualcuno di utopico. Invece qui, sembri così mortale..." Conclude la rossa.
Sarà che sono bellissimo ed incredibilmente affascinante, non c'è da stupirsi che mi vedano come un Dio.
Sento un piccolo schiaffetto sul braccio da parte di Jane, come se mi avesse letto nel pensiero "Che modestia, Sean."
Le sorrido, "Ma è vero, vuoi forse dire che sono brutto?"
Non vedo perché negare l'evidenza.
"Nono, sei carino..."
Alzo un sopracciglio, "Carino?" Chiedo quasi come se l'aggettivo fosse un insulto.
"Vorrai dire sexy e bellissimo." La corrego.
"Ecco perché lui è il mio migliore amico." Ride Metthew, "Siamo entrambi realisti. Realisti e fantastici."
April viene contagiata dalla risata di Metthew, così come Jane e Kate.
"Comunque, hai ragione April." Dice Kate, "E a dire il vero, ho notato che guardano tutti noi quasi con invidia, soprattuto tu Jane."
Ma Jane è scettica e perplessa, "Non hanno nulla da invidarmi." Generalizza.
Quanto ti sbagli, hanno tutto da invidiarti.
"Falso. E anche se fosse, sono gelose del rapporto che tu e Sean avete." Sorride la bionda, credo intenerita.
Jane arrossisce di nuovo, scrollando le spalle come a voler liquidare l'argomento.
Finiamo di mangiare e Kate parte di nuovo alla carica, "Ho bisogno di un bel film e di alcool sta sera."
"Direi di si principessa, domani ho detto a mia madre che ti avrei portata a cena." Confessa il mio amico.
Kate si strozza con l'acqua che stava bevendo, "Che cosa!? E quando avevi intenzione di dirmelo?"
"Adesso." Risponde Mett titubante.
"Oddio mi sento mancare, che ansia. E cosa dovrei mettermi?" La bionda sventola la mano sul viso, rosso e accaldato.
"Non è mica un invito a cena con la regina." Se la ride il suo ragazzo.
"Peggio! Alcool, ho bisogno di litri di alcool." E prende una bottiglia di birra dal frigo, la stappa e comincia a berne a grandi sorsi.
Mi alzo, "Devo tornare a casa."
"Rimani giusto il tempo di un film, così poi mi aiuti a cambiarmi." Mi ferma speranzosa Jane, anche se ho la netta sensazione che non la faccia molto per essere aiutata.
Punta gli occhi nei miei, accennando ad un sorriso.
Sleale.
"Solo un film..." mi lascio convincere con un sospiro.
Ci trasferiamo tutti nella salotto, Kate in braccio a Metthew su una poltrana, che amoreggiano, mentre April sull'altra.
Io mi siedo accanto a Jane sul divanetto, come al solito.
April sceglie il film, ma è così noioso che ben presto sento le palpebre chiudersi.

Mi sento scuotere.
Qualcuno mi strappa dal mondo assopito dei sogni e spalanco gli occhi, trovandone due paglia che conosco molto bene.
Mi guardo per un attimo intorno, trovando la stanza buia e deserta.
Mi alzo dal divano, seguendo una Jane silenziosa in camera e velocemente la aiuto a cambiarsi.
"Buonanotte." Le auguro, fissando quelle labbra tanto invitanti, che in questo momento vorrei mordere, e che vorrei baciare con così tanto desiderio da rischiare di prendere a fuoco.
"Devi andare per forza?" Chiede sedendosi sul letto.
Annuisco, "Dovrei farmi vivo con mia madre e Cass." Reprimo uno sbadiglio.
"Che ne dici di rimanere qui? Domani mattina potrei accompagnarti, se vuoi, domani non abbiamo lezioni." Chiede timidamente, con un accenno di imbarazzo.
"A Cass e a mia madre farà piacere strappazzarti un po'."
Ed io potrò godere della loro presenza senza che si coalizzino contro di me.
Mi sorride e si distende, facendomi posto.
Cosa non farei per te?
La risposta mi terrorizza e mi tiene sveglio per delle ore interminabili, tormentandomi.

Philofobia - Non smettere mai di guardarmi 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora