Capitolo 60

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"Il dolor è ancora più dolore se tace."
-Giovanni Pascoli.

D

opo aver passato la notte a New Orleans, la mattina dopo mentre facevamo colazione, Metthew e Sean avevano detto che la nostra prossima meta sarebbe stata a Jecksonville, in Florida. Abbiamo guidato per circa otto ore e abbiamo fatto una piccola sosta ad un pompa di benzina piuttosto malconcia, ed isolata. Abbiamo fatto benzina e preso un panino al piccolo bar dove un'orrida puzza di fumo stagnate regnava e scuriva le pareti sulle quali era appiccicato. In questo bar, alla cassa vi era una donna, così sembrava essere dai capelli lunghi e il seno, ma non si capiva molto bene perché il seno avrebbe potuto essere il risultato della ciccia, che avvolgeva il corpo come salvagenti, e il viso, come il resto del corpo, non era curato: le sopracciglia crescevano incolte e si univano quasi a formare un monosopracciglio, sul lato destro del viso c'era una verruca peggiorata dal volto raggrinzito e rugoso, le mani ed i polsi erano gonfi, e non c'erano segni di smalto o trucco. Inoltre, i lunghi capelli scuri erano unti e sporchi e causa del loro colore, scuro e nero come il petrolio, risaltava la forfora sulla cute. Per fortuna è stato un uomo sulla quarantina a servirci, gentile ed educato ci aveva passato i panini con mani curate e pulire. Probabilmente, vedendo la nostra espressione, per graziarci ed evitare un contatto con quella che sarebbe dovuta essere una donna ci ha gentilmente offerto il pasto.
Poi, siamo ripartiti in viaggio e ci attendevano altre quattro noiose ore lente, dritti a Jacksonville. April, che anche oggi ha deciso di venire in auto con me, aveva cominciato a formulare teorie complottistiche sul dove eravamo diretti, in quale città avremmo vissuto per un paio d'anni.
"Ragioniamo." ha borbottato stringendo in mano il suo cellulare, con la punta della lingua che fuoriusciva dalle labbra e che premeva in un gesto concentrato su quelle stesse. "La nostra prossima destinazione è Jacksonville, è corretto?"
"Si. Esatto." Ho annuito guardando le nuvole temporalesche dense e ammassate tra loro che all'orizzonte incombevano sulla città.
"Perfetto. Sean ti ha mai detto quale sarebbe stato il modo in cui avrebbe scelto la città?"
"No. Ha solo detto che dovevamo andare in una grande città, così da poterci mescolare meglio." ho mormorato ripensato a tutte quelle volte che avevamo tirato fuori l'argomento.
"D'accordo, allora... Le più grandi città, o comunque famose, che da Jacksonville possiamo raggiungere sono: Chicago, Philadelphia, New York, Washington DC oppure..."
"Ap," l'ho fermata con un sorriso gentile, "che ne diresti di goderci la sorpresa? Non sarebbe più bello farci sorprendere?"
A quel punto lei è arrossita, distogliendo lo sguardo come quando si rimprovera una bambina. "Oh... Si, ma certo. Ero solo curiosa di..."
"Mi sarei preoccupata se non lo fossi stata. Anch'io lo sono, naturalmente." ho ridacchiato.
Lei ha spalancato gli occhi, stupita. "Ma allora perché..."
"Perché non dobbiamo sempre anticipare quello che gli altri diranno o faranno, se no perderemo la facoltà di poterci stupire." Ho sospirato. "Sean e Mett non sono Erick, o Mark, o Garcia, Grace , Donna o Adolf."
"Immagino che tu abbia ragione." mi ha sorriso.
"Immagino di si." ho ricambiato il sorriso.
Dopo qualche ora siamo arrivati all'entrata di un grande città, dai grandi ed imponenti grattacieli in vetro che riflettono le sfumature del cielo e della terra, inondando la città di sfumature color pastello. Un grande ed imponente ponte azzurro unisce due porzioni di terra separati da un lungo e maestoso fiume limpido.
Abbiamo preso delle stanze in un motel e adesso siamo tutti stretti nell'auto di Sean, con destinazione: supermercato.
I ragazzi, che al momento canticchiano allegramente una canzone che non conosco nei sedili dietro, ci hanno convinto a rimanere a Jacksonville per il resto del pomeriggio, oltre che per la notte per riunirci nella stanza di April e giocare ad Americano Vero, ecco perché stiamo andando al supermercato, per comprare qualche bottiglia in più di alcool.
Sean accanto a me guida con le mani serrate sul volante e con espressione concentrata.
"Eccone uno." gli indico un supermercato ad angolo in un crocio.
Accosta accanto all'attività commerciale e scendiamo tutti dall'auto mentre un fulmine squarcia il cielo e le prime goccioline di pioggia cominciano a cadere.
Entriamo tutti, accolti dal tipico rumore dei nastri trasportatori, bambini che piangono, donne al telefono, codici a barre sui prodotti identificati dai laser rossi alla cassa.
Svelti ci dirigiamo verso il reparto alcolici e Kate, con un piccolo carrello, comincia a riempirlo di due bottiglie di liquori. Metthew pende la prima cassa di birra, mentre Sean la seconda. Io ed April invece andiamo nel reparto delle schifezze per prendere un paio di pacchi di popcorn e patatine alla paprika.
"E così, pensavo di svignartela. Non è vero, tesoro?"
Al suono di quella voce il mio corpo si congela sul posto mentre il mio cuore prende a battere veloce e furioso contro la cassa toracica.
Lancio un'occhiata ad April che dopo un momento di esitazione, prende un respiro profondo e cambia reparto, andando a chiamare i nostri amici e Sean.
"Effettivamente, " schiarisco la voce, "quello era proprio il mio piano, si."
I capelli rossi, ora troppo lunghi, gli coprono parte della faccia. Un sorriso da squalo fa capolinea sul suo volto facendomi gelare il sangue.
"Mi dispiace interrompere così i tuoi piani, tesoro." ridacchia senza alcun divertimento.
"Sai Erick, potrà sembrarti strano ma dispiace anche a me. E molto." punto i miei occhi azzurri e freddi nei suoi scuri in cui una scintilla di divertimento malato fa capolinea.
"Lo immaginavo." annuisce, estraendo dal giubbotto una pistola a puntandomela contro.
"Sta diventando un'abitudine." commento trattenendo il respiro,
"Oh non preoccuparti, oggi farò in modo che non possa mai più capitarti una cosa del genere." Sorride.
Punta la pistola verso il soffitto, ridendo sguaiatamente e sparando qualche proiettile. "Buonasera signori e signore." Urla, " Questa è una rapina e se non volete che vi spappoli il cervello fareste meglio a riunirvi tutti davanti le casse."
Donne e bambini cominciano ad urlare e piangere disperati subito dopo i colpi di pistola e quando sentono le intimazioni di Erick, le madri trascinano i bambini sottobraccio in un segno protettivo verso le casse, come i mariti fanno con le mogli prendendo sotto la loro ala anche ragazzi solitari.
Ripunta la pistola contro di me, "Sean se non vuoi che la tua bella fidanzatina muoia, e questa volta per davvero, faresti meglio ad uscire, insieme ai tuoi cagnolini con le mani ben in vista."
Bisbigli che purtroppo conosco bene si fanno largo tra la folla, ed io provo a prendere tempo, "Come facevi a sapere dove eravamo diretti?"
"Hai davvero pensato che ti regalassi un'auto senza metterci un microchip prima?" ride sguaiatamente. Beh, a dire il vero si.
Metthew, Kate e Sean escono allo scoperto avvicinandosi a noi. "Fate vedere le mani." ordina il nostro vecchio capo. I due fidanzati e Sean fanno come ordinato facendo ghignare Erick di una felice soddisfazione.
"Bene. Unitevi agli altri vicino le casse, noi vi raggiungiamo tra poco." muove la pistola nella mia direzione che sollecita i miei amici. Sean è l'ultimo a girarsi e ad andare, guardandomi con sguardo intenso e carico di preoccupazione e paura per me. Annuisco, mimando con le labbra un silenzioso, "Sto bene."
"Cammina davanti a me, Williams e niente scherzi." mi intima serio.
Mi obbliga a girarmi di schiena ed io, pochi secondi dopo sento la punta dura dell'arma che mi sfiora attraverso i vestiti, tra le due scapole.
"Va avanti e poi gira a sinistra." Ordina.
Cammino nella direzione comandata e giungiamo davanti al reparto cartoleria, "Afferra il nastro isolante e delle forbici." mi indica i rispettivi oggetti ed io faccio come mi dice.
Poi mi obbliga ad andare verso le casse dove troviamo tutti gli ostaggi in piedi raggruppati, tra cui anche la rossa tinta.
"Voi." l'indica tutti con la pistola, facendo urlare una donna sulla trentina particolarmente ansiosa. "Sedetevi."
A poco a poco tutti, compreso il mio gruppo, si siedono per terra, gli uni accanto agli altri.
"E tu." mi punta di nuovo la pistola, "Legali tutti, per bene, con il nastro."
Mi avvicino alla massa di ostaggi cautamente, calcolando ogni mio movimento e strappo la copertura in plastica del nastro isolante, sollevandone il primo pezzo dopo averlo cercato con le unghie. Mi avvicino ad un uomo, giovane ma maturo, dalla folta barba ispida color nocciola che mi guarda preoccupato con gli occhi del medesimo colore. Mentre lascio scorrere lo scotch sui suoi polsi uniti, simulando un paio di manette, i ciuffi ribelli ricadono sul volto. Poi con gli occhi mi indica una stanza richiusa, con su scritto Ufficio della guardia di sicurezza. Passo o legare un bambino. la sua famiglia, dei ragazzi di un paio d'anni più piccoli di me, una ragazza che probabilmente va al college, una coppia di anziani e poi April. Metthew. Kate. Ed infine il ragazzo che mi ha rapito il cuore, che trattiene il respiro quando gli sfiori i polsi.
"Ricordi Williams?" mi urla a qualche metro di distanza Erick. "Niente giochetti."
"Oh si, grazie Erick. Menomale che ci sei tu a riparare ai danni dei miei gravi problemi di memoria." Commento sarcastica.
Lascio un giro incompleto sui polsi di Sean, cosicché possa liberarsi al momento opportuno.
"Adesso alzati e vieni da me." quando mi giro lo ritrovo seduto su uno sgabello, con una mano a reggersi la testa e l'altra regge ancora la pistola.
Mi guarda sospirando stancamente e continua ad osservarmi il corpo e il viso con scrupolosa attenzione, "Tanta bellezza sprecata."
Lo guardo anch'io, sospirando a mia volta, "Tanti neuroni sprecati." poi sfoggio un ghigno, "Ops, quelli non li possiedi e basta." Solleva gli occhi al cielo e continua ad osservami. "Allora?" chiedo, "Se vuoi uccidermi fai in fretta, non ho tutto il giorno."
"Ucciderti?" chiede sorpreso, allargando gli occhi. "Oddio gente, pensa che io abbia fatto tutto questo per ucciderla." Prende a ridere talmente forte che sento gli organi vibrare. Nei suoi occhi passa l'ombra di una scintilla di follia. "Tu devi pagare per quello che hai fatto e la morte non basta."
"E allora cosa vuoi da me?" Mormoro.
"Tu devi soffrire. Devi passare il resto della tua vita a tormentarti." mi guarda beffardo, "Sto pensando di farti uccidere la tua amica bionda. Com'è che si chiama? Cat, Katy..." si imbroncia aggrottando la fronte in cerca di ricordarne il nome. "Oh si. Kate."
Il mio sguardo saetta irrimediabilmente su di lei, i cui occhi sono intimoriti e spalancati. Scuote la testa come per dirmi qualcosa, ma io mi volto verso Erick quando immagini orrende su di lei morta a causa mia mi inondano la mente.
"Scordatelo. Preferisco uccidermi da sola." Dichiaro sicura di me.
"Hai ragione. Tu non lo faresti mai, ma lui si." I suoi occhi puntano sulla figura accovacciata e furente di Sean, i cui occhi si alternano tra me ed Erick, stretti in due fessure, in parti grondanti odio e in parte in cerca di un piano. Un piano che io ho.
Lo fisso in mondo intenso fino a che i suoi occhi si puntano sui miei ed io gli indico con lo sguardo la porta dell'ufficio della guarda di sicurezza.
"Nemmeno lui lo farà." Ringhio.
"Oh si invece." ghigna Erick.
"No, ha ragione. Non lo farò." ribatte a muso duro Sean.
"Ed invece si che lo farai se c'è la vita di Jane in mezzo." Alterna brevemente lo sguardo tra me e Sean, posandosi in fine su di me. "Lui ucciderà sia Kate che l'altra ragazza, Brooke. Vediamo, dov'è..." i suoi occhi si socchiudono in cerca di April tra la folla e infine si fermano, guardandola stupita. "Oh bentrovata April. I miei tirapiedi, con i grossi cappelli e i grossi occhiali che indossavi per non farti riconoscere si sono fatti ingannare, eh?" sospira, "È proprio vero quel che si dice: chi fa da sé, fa per tre."
"Dov'eravamo..." punta di nuovo gli occhi su di me, facendomi irrigidire ulteriormente. "Oh già. Allora, credi davvero che lui non farebbe questo per te? Credi davvero che lui non sacrificherà Kate ed April per te?" Ride ancora un'altra volta di gusto. "Un ragazzo innamorato farebbe di tutto per la sua lei. Non lo sapevi, Jane?"
"Ma certo, Erick. Un ragazzo innamorato dici, vero? Proprio come lo eri tu con Annie?" calco il suo nome.
Lo vedo trattenere il fiato per quelli che sembrano secondi interminabili, i suoi occhi si sgranano visibilmente, le labbra si schiudono, la sclera viene quasi completamente inghiottita dal nero dei suoi occhi. "Annie..." sussurra come smarrito, come se quel nome non lo pronunciasse da così tanto tempo che ne aveva dimenticato il sapore.
I suoi occhi si accendono di ira lampeggiante e viva, come se nel nero torrido dei suoi occhi vivesse e danzasse una fiamma viva di follia, resa tale da un dolore soffocante e viscerale causato dalla morte di Annie.
"Non osare pronunciare il suo nome." Ringhia spietato, alzandosi fulmineo dallo sgabello e avvicinandosi a me con il braccio teso e la mano che impugna la pistola verso di me, che adesso mi sfiora il naso. "Tu non sai niente! Niente! Assolutamente niente!" si gira fremendo ed ansimando. Il castello in cui viveva è lentamente crollato trascinandolo in una realtà fatta di morte, sangue e sofferenza.
"Tu non hai la minima idea... Non sai minimamente cosa si prova a vedere la vita che scivola via dagli occhi della persona che ami. La sua anima che, che... le viene strappata dal corpo." Le sclere dei suoi occhi, ai lati dell'iride, prima bianche come sottili mezzelune, ora sono arrossati. Il suo respiro è talmente ansante che chiunque lo vedesse sospetterebbe che ha appena finito di correre una maratona di dieci kilometri dopo un anno di immobilità statica.
"L'impotenza che senti, nel vedere qualcuno che ami stare per morire e non potere fare niente. Niente." dice impazzito, "Il dolore che provi quando al mattino allunghi la mano dall'altra parte del letto e trovarlo freddo." mormora chiudendo gli occhi come se il dolore stesso fosse una fonte di dolore. "Il tormento che provi ogni giorno della tua vita, quando ogni notte sogni sempre la stessa cosa, quando ogni notte sogni la sua morte a meno che non sei totalmente sballato e... e allora, forse, quella notte ti viene risparmiata."
"Tu sei ancora piena di aspettative, piccola ed ingenua Jane. Tu sei una felice ed intrepida donna innamorata che non ha idea, neppure lontanamente, di come si ci sente a provare un dolore del genere. E tu, hai distrutto l'unica cosa che da anni mi teneva occupato. Tu vedevi un ammasso di gentaglia senza scrupoli che voleva fare soldi, io vedevo solamente un modo per tenermi occupato fino a che non sarebbe giunta la mia fine. E tu l'hai distrutta. Distrutta."
MI da le spalle, che a causa del respiro dolente si sollevano e si abbassano. Io mi sento sviscerata da qualsiasi cosa, da qualsiasi pensiero. Non potevo immaginare che dietro la maschera da depravato ci fosse un animo folle, si, ma a causa del dolore, a causa di un amore perduto per sempre.
Che cosa avrei fatto io se avessi perso Sean come Erick ha perso Annie? Sarei impazzita anch'io?
Il rumore di un tappo che viene svitato mi fa tornare alla realtà. Erick ha appena preso una bottiglia di scoatch, l'ha svitata e adesso ne sta tracannando a grandi sorsi con entrambe le mani, come se si fosse aggrappato a quella bottiglia, come se ne avesse bisogno, come se quel contenitore di vetro fosse la sua ancora di salvezza. E la pistola giace immortale accanto a lui.
Silenziosamente scivolo dentro l'ufficio della guardia del supermercato, venendo immersa dal buio.
Dei rantoli piagnucolosi attirano la mia attenzione dietro quella che intravedo essere una scrivania. "Hey..." sussurro impercettibilmente, mentre dall'altra parte sento Erick gridare il mio nome.
"Sttttt." sento sussurrare.
"È lei la guardia?" sussurro.
"S-si." balbetta piagnucolando. Che coraggio.
E lui dovrebbe sorvegliare e proteggere questo supermercato? Be' dategli una medaglia d'onore.
"Ha chiamato i rinforzi?" mormoro piano.
"Si, stanno arrivando e..." la guardia si interrompe quando la porta viene spalancata e la terrificante figura di Erick si staglia vicino a me scura, illuminata dall'esterno.
"Beccata." mi guarda serio, pallido in viso.
"Esci immediatamente, farò provare al tuo bel fidanzato cosa significa quello che ho passato." Mi afferra dal braccio e mi trascina fuori facendomi chiudere e strizzare li occhi a causa della luce.
"Bene, Sean." lo guarda perfido, "Adesso vivrai quello che io ho vissuto."
Sean, col panico negli occhi, si stacca il nastro che dava l'impressione di legarlo. Saetta in piedi avvicinandosi verso di noi. "Uccidi me." si offre volontario al mio posto.
"Uccidimi me, ma lasciala stare per sempre." biascica, supplicando con gli occhi.
È la prima volta che vedo Sean perdere il sangue freddo, perdere la calma e sprofondare nel panico.
"No! Sean, non dire sciocchezze, va' via." strillo tremante.
"Commuovente." Ci guarda serio in volto, abbassando di poco l'arma. "Che ne dite se invece non decide chi deve uccidere chi?" Alterna lo sguardo, "Sarà lei ad uccidere lui o sarà lui ad uccidere lei?"
Ci guardiamo atterriti in volto, nessuno dei due potrebbe mai uccidere l'altro.
D'improvviso una colpo viene sparato ed io chiudo gli occhi terrorizzata, temendo il peggio.
Ma quando li riapro, il mio respiro viene smorzato perché Erick è riverso a terra in una pozza di sangue. In una pozza del suo sangue, che esce da un foro sul petto all'altezza del cuore.
Mi giro verso la figura che si sta avvicinando, guardando stordita la guardia di sicurezza del supermercato che regge in mano una pistola, tutto tremante.
Io torno a guardare Erick a terra che boccheggia in cerchia d'aria e sputa sangue, "Annie..." pronuncia il nome come una dolce agonia, un dolce veleno.
"Annie..." ansima guardando il vuoto tra me e Sean.
Allunga la mano, sorridendo e mostrando i denti bianchi sporchi di sangue, verso il vuoto, tra me e Sean.
"Oh Annie, mia dolce e piccola Annie..." Tossisce, "Mi sei mancata cosi tanto. Così tanto." Sorride ancora tristemente "Mi sembra di star riprendendo a vivere solo ora. Annie, la mia Annie... Sarai tu l'angelo che mi accompagnerà all'inferno? Oppure..." ma nessuno saprà mai quello che Erick stava per dire, perché ha esalato il suo ultimo respiro. Ha dedicato il suo ultimo respiro alla donna a cui in vita ha donato tutto sé stesso. E oltre il suo respiro, le ha donato la sua ultima lacrima che si libera dagli occhi, ora morti che fissano vacui il nulla, che dapprima scende pura e cristallina, e poi si trasforma nell'ultimo pezzo perlaceo che Erick ha dato a questo mondo.
Erick è morto.
Mi scappa un singhiozzo, inaspettato.
Abbiamo vinto, alla fine.
Le lacrime mi appannano la vista e mi bagnano il viso.
Allora perché non mi sento felice?
"Riposa in pace, Erick."

Philofobia - Non smettere mai di guardarmi 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora