Capitolo 37

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"Forse sei un pugnale affilato, forse sei il petalo di un fiore, di quelli che lasciamo scivolare tra le pagine di un libro, forse sei tutte e due le cose."
-Fabrizio Caramagna

"Hey Nick, dovresti rinunciarci quella non ti apre le gambe nemmeno sotto tortura." Erick ride sguagliatamente, la sua risata rauca mette i brividi.
Nick gli rivolge un sorriso sghembo, "Mi sa che hai ragione, Erick. Andiamo via, è tempo perso." Gli da un pacca sulla spalla ed Erick strofina la mano sul naso, sul quale si intravede un sottile strato di una polverina bianca.
Lo guardo brevemente negli occhi trovando la sclera arrossata e la pupilla dilatata.
È decisamente fatto.
Nick prende sottobraccio il rosso, portandolo lontano da noi.
Basita, guardo con occhi increduli i ragazzi.
Quella non ti apre le gambe nemmeno sotto tortura.
Non sono il genere di donna che lui usa frequentare, che cosa si aspettava? Che aprissi le gambe al primo che capitasse?
Metthew mi guarda apprensivo, al contrario del suo amico che ha un'espressione da carceriere, congelata.
Reprimo l'irritazione verso Erick, ma sopratutto la voglia di andare lui, prenderlo a calci laddove non batte il sole e fargli rimpiangere di essere nato uomo.
Schiarisco la voce, "Come salgo fino ai condotti dell'aria?"
"Prenderemo una stanza." Risponde Sean, ammorbidendo lo sguardo quando si posa su di me.
Le mie gote si imporporiscono immediatamente, "Una stanza?" Ripeto inebetita.
Annuisce, "Ci scambieranno per una coppia che vuole darsi da fare. Prenderemo una camera da letto."
Prendo un sospiro profondo, "E Mett?" Fisso lo sguardo su di lui.
Il biondo scuote la testa e i capelli ricci ne seguono il movimento, "Resterò qui per un po' e poi me ne andrò. Potrei recuperare qualche informazione."
Mi mordo il labbro, non sarebbe stato credibile effettivamente se Metthew fosse venuto con noi. Se si fosse sparsa la voce e se la voce fosse arrivata fino ad Erick, ho i miei dubbi che accetterebbe la versione di una cosa a tre.
Disgustoso, poi.
Io e Sean ci alziamo dal divanetto, mentre lui passa le mani sui jeans per togliere parte della poca cenere della sigaretta.
Posa la mano sul mio fianco, attirandomi a sé, con un cenno capo saluta il biondo.
Andiamo verso una porta blu, all'apparenza massiccia, dalla maniglia elegante in finto oro.
Apre la porta che rivela un'anticamera.
In quest'anticamera un uomo in penombra, ci accoglie fumando un sigaro.
Mostra i denti gialli quando ci parla, "Avete una preferenza?" Sorride lascivo.
La sua voce è graffiante, ruvida e gracchiante. I baffi naturalmente bianchi sono macchiati di giallo a causa del fumo di sigaro, la camicia chiara sgualcita è macchiata probabilmente d'alcool a giudicare dall'odore.
"Sedici." Risponde Sean.
L'uomo prende una chiave dalla bacheca, il suo portachiavi nero è segnato dal numero sedici in bianco e sotto il numero, c'è inciso il nome del locale.
Per un breve periodo la chiave viene soffocata dalla sua mano grande e gonfia, poi avvicinandosi a noi ce la passa, mettendo in mostra le unghie e i polpastrelli ingialliti, come le pagine di un vecchio libro.
Sean afferra la chiave e dalla tasca estrae una banconota che passa al vecchio.
L'uomo mette la mano in tasca probabilmente per dare il resto, ma Sean lo ferma "Tieni il resto, che nessuno venga a disturbarci."
L'uomo annuisce, esibendo un sorriso marcio, "Buona chiavata."
Reprimo una smorfia di disgusto ed apriamo la porta che rivela una rampa di scala, conducenti al piano superiore.
Saliamo le scale, illuminate solamente da una debole luce e quando giungiamo al secondo piano, vediamo un corridoio lungo, con porte alternate da un lato all'altro.
Ci affrettiamo a raggiungere la stanza numero sedici, davanti alla diciassette dal quale arriva già qualche rumore.
Sean inserisce la chiave nella roppa della porta e dopo un giro, la porta si apre. Entriamo, richiudendo a chiave la porta alle nostre spalle, ed accendiamo la luce che rivela una stanza spoglia ed anonima, con un grande letto al centro, ai cui lati due comodini, e un diviano attaccato al muro opposto alla porta.
Sopra il divano c'è una grigli grigia di ventilazione, Sean si avvicina e la estrae dal muro mentre io salgo sul divano.
Mi ferma, prima che io riesca ad arrampicarmi, "Jane, se non riesci torna qui, va bene?"
Annuisco, guardandolo negli occhi e perdendomici per l'ennessima volta.
Il mio cuore comincia a galobbare tumultuoso, come succede sempre quando lo avverto vicino a me, o quando intercetto il suo sguardo. O quando mi tocca e mi bacia.
"Fa' attenzione e sii silenziosa." Assorto accarezza la mia guancia con delicatezza, "Dato che non lo faresti nemmeno sotto tortura, come ho fatto io a riuscirci?"
Lo guardo allibitta, mentre il viso si colora di rosso.
Quella non ti apre le gambe nemmeno sotto tortura.
Gli do uno scappellotto sulla spalla, reprimendo un sorriso che lui non nasconde, facendo fare al mio cuore una capriola.
Mi hai fatto innamorare di te, stupido.
Scuote la testa e mi aiuta ad entrare al condotto dell'aria, passandomi il telefono con la torcia accessa.
Una volta dentro mi stupisco della pulizia di questo spazio angusto, me lo aspettavo decisamente più sporco.
Striscio in avanti, silenziosamente, come una spia, fino a quando il condotto cambia direzione, andanso verso l'alto.
Ci metto un po' a mettermi in piedi, piegando la schiena e quando lo faccio, il condotto ha di nuovo cambiato direzione, adesso orizzontale.
Sbuffando mi affretto a salirci e striscio ancora avanti fino a che davanti a me si presenta un bivio. Uno che va a destra e uno a sinistra.
Illumino il condotto di sinistro e sembra che il prossimo bivio sia troppo lontano per essere dalla stanza numero diciassetta.
Mi volto a gurdare la via a destra, illuminandola, e il primo bivio questa volta sembra in prossimità della stanza.
Strascico verso destra, non è così difficile orientarsi quassù, basta immaginare quello che dovrebbe esserci in corrispondenza sotto.
Al secondo bivio, mi trascino a sinistra fino a quando la strada non viene bruscamente interrotta.
Nella stanza diciassette la griglia di ventilazione non è sulla parete, come nella stanza affittata da me e Sean, ma sul soffitto.
Sporgo solamente gli occhi, per non farmi beccare, che prendono a seccarsi e bruciare, perché la maggior parte degli uomini presenti nella stanza sta fumando qualcosa.
Nella stanza diverse luci fioche sono accesse, dandole un'aria misteriosa e criminale, e sembra molto grande.
Al centro c'è un tavolo da poker verde, incorniciata da un colore scuro che non riesco a distinguere, sul quale vi sono posati diversi bicchieri di vetro e delle caraffe di alcool.
Alcuni uomini si sono accontentato della compagnia di una spogliarellista o di una squillo, vestite da stracci che non lasciano nulla all'immaginazione. 
Ma quelle non sono le uniche donne presenti nella stanza, perché ne riesco ad intravedere due, vestite eleganti e pacchiane. Hanno l'aria di essere due canaglie.
"Signori, ve lo ripeto per l'ennessima volta: non so chi stia ficcando il naso."  Distinguo la voce di Erick.
"E nemmeno io. Sono sicura di aver colpito il bersaglio, ipotizzo sia una donna ma non è una certezza." Questo deve essere Mark, è stato lui a spararmi.
"Sei un deficente! Come hai fatto a non vederlo?" Sbotta un uomo, sputando l'insulto contro il ragazzo.
"Era troppo buio, neppure io ho visto chi fosse." Credo sia Garcia a parlare, Sean ha detto che era lui l'acquirente quella sera. La sua voce appare calma, ma è innegabile quella nota di nervosismo che si mischia alla quiete generale.
"Erick, non sospettavi fosse una delle tue puttane?" Chiede un altro.
"Già si, quella Jade."
Un momento prima Erick mi nomina puritana e quello dopo mi spaccia per una taccheggiatrice?
"Non è una delle ragazze. Gareggia cogli altri." Risponde Erick dubbioso.
Probabilmente si sta pentendo di avermi fatta entrare nel suo giro.
"Già è vero. Quella brava." Conferma un altro uomo.
Sono conosciuta nel mondo della criminalità come Quella brava e non ricordano nemmeno il mio nome?
"Qua parliamo solo per dare aria alla bocca. Erick, hai controllato se fosse la ragazza ad essere stata presa?" La voce glaciale e calcolatrice di una delle donne si fa largo tra la calca delle voci virili. Si aggiusta la pelliccia sulle spalle e i capelli scuri con i riflessi rossicci, mentre parla.
"Si, Grace. Non sembra essere lei." Vedo Erick ridurre le labbra i sue fessure.
L'altra donna somigliante a Grace,  sbatte il pugno sul tavolo, assottigliando gli occhi, mentre punta gli occhi infuocati su Erick, "Sembra? Non basta Erick, questa è una faccenda seria, dopo sono arrivati gli sbirri."
Erick sfoggia un'espressione irritata, "Miss Jones, ci provi lei a controllarla.
È costantemente insieme ai suoi cani da guardia e quelli, mi strapperebbero il cuore dal petto se le torcessi un capello."
Grace si alza bruscamemte dalla sedia, che stride contro il pavimento, "Non osare sfidare mia sorella con quel tono, Hill. Donna ha ragione! È palese che lei, e chissà chi altro, sapessero il luogo e l'ora dove Garcia e Mark si sarebbero incontrati. Chissà che altre informazioni hanno e chissà quanto possono dire agli sbirri, quante prove incriminati hanno contro tutti noi!" Alza la voce, con gli occhi lampeggianti di rabbia.
Donna annuisce a quel che dice Grace, sua sorella,"Infatti, Erick. Sembra, non basta! Rapiscila, puntale una pistola e obbligala a spogliarsi, non importa! Purché tu ci dia una certezza."
"Grace e Donna hanno ragione. Sei un uomo senza scrupoli Erick, non avrai problemi." Afferma Garcia.
Una lama viene conficcata nel tavolo, un uomo dalla voce roca e profonda prende la parola, "Ti lasciamo condurre il gioco, Erick, perché sei un uomo scaltro e furbo. Non farti ingannare da un bel faccino. Se dovessimo scoprire che è stata lei, dopo aver passato l'esame, uccideremo prima lei e poi te. E anche te, moccioso." Indica Mark.
Erick ingoglia un groppo di saliva in gola, sul suo vise nasce un sorriso malato, tossico. "Ne sono pienamente convinto, Signori."
"Bene." Grace affila il suo sorriso, come si fa con un lama.
"Credete che la ragazza colpita sia la stessa che abbia fatto scappare April? Quella ragazzina non può essere fuggita da sola." Sussulto quando riconosco Adolf.
"È una possibilità da dover tenere in conto." Parla Garcia.
"Sono quasi sicuramente due casi collegati. È meglio tenere gli occhi aperti." Sospira stancamente Donna.
"Se non fosse stato per questo improvvisa rogna, a quest'ora gli affari sarebbero andati a meraviglia."
"Hai altre sospettate?" Chiede Grace sospettosa.
Erick pare preso in contropiede, "Non preoccupatevi di questo, signori miei. Adesso divertiamoci, dopotutto è il mio compleanno. Bevete a volontà, offro io."
"Queste belle dolcezze, parleranno?" Chiede dubbioso Adolf, riferendosi alle tre squillo, come se non ci fossero.
Il sorriso di Garcia diventa meschino e al contempo perverso, porta la mano dietro la schiena e ne estrea un oggetto, che posa sul tavolo verde.
Una pistola.
"Oh, io non credo che queste incantevoli fanciulle diranno una sola sillaba. Non è vero, adorate ninfee?"
Le tre ragazze forzano un sorriso, sento la loro agitazione sin da qua su.
Scuotono la testa e tutti i membri della stanza cominciano ad alzarsi, per andare via.
Mi affretto a strisciare via dai cunicoli, percorrendo con l'agitazione e il batticuore la strada a ritroso.
La mia mente rivive la riunione di poco fa, parola per parola.
Se dovessimo scoprire che è stata lei, dopo aver passato l'esame, uccideremo prima lei e poi te.
Alla fine del condotto dell'aria intravedo la stanza illuminata presa da me e Sean.
Lo vedo seduto nel letto, pensieroso che mi aspetta e quando mi vede si avvicina al muro.
Esco per prima la testa e una parte del busto, Sean mi prende da sotto le ascelle e mi trascina fuori.
Mi concedo un attimo per immergermi nei suoi occhi, fatti d'ombra oscura che pericolosi mi avvolgono e che mi fanno sentire paradossalmente al sicuro.
Prendo respiri e apro la bocca per parlare.
Una lama viene conficcata nel tavolo.
Uccideremo prima lei e poi te.
Il mio corpo si congela scosso dal violento ricordo.
Richiudo la bocca.
Sean mi guarda con occhi velati da qualcosa che non riesco a definire, qualcosa di triste, qualcosa di nostalgico come l'odore della pioggia.
I miei occhi supplicano conforto, per la prima volta in vita mia ho veramente paura.
Accoglie la mia richiesta silenziosa, avvolgendo il mio corpo con le sue braccia, nonostante lo sento un po' rigido. Deve essere veramente poco abituato a questa forma di affetto.
"Usciamo da questo posto."

Philofobia - Non smettere mai di guardarmi 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora