IL MIO ALFA

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Fabrizio brancolava nel buio, con quegli occhi rossi alla ricerca di qualcuno che sarebbe potuto divenire il suo beta. Era un’alfa stanco di restarsene solo, ululando nella notte e trascorrendo intere giornate nella sua solitudine, che non gli faceva più bene. Non aveva scelto lui di trasformarsi in un lupo mannaro, prima di quel cambiamento la sua vita era alquanto mediocre, c’era la musica a fargli compagnia e non si lamentava più di tanto, finché una sera uno sconosciuto gli era saltato addosso e lo aveva graffiato sulla pelle. Pensò fosse soltanto un graffio ma nel cuore della  notte vide luccicare due occhi rosso fuoco che gli fecero accapponare la pelle.  Trascorse la notte insonne, ansante e spaventato da quel che stava succedendo. Quelle ferite inflitte da quella strana creatura erano guarite all’improvviso e in breve tempo si ritrovò a ringhiare, e a guardarsi allo specchio inorridito dall’immagine del suo volto mannaro.
Una lacrima solcò il volto del romano che non si era trasformato del tutto perché aveva imparato a controllare la sua trasformazione e a restare umano, era ancora li a guardarsi intorno quando intravide un ragazzo seduto sotto un albero a singhiozzare. Gli si avvicinò cautamente senza intimorirlo, privandosi della sua mezza trasformazione e gli si sedette accanto
“ehi tutto bene? Perché sei qui nel cuore della notte a piangere?”
Il riccio alzò lo sguardo e lo puntò nei suoi occhi nocciola e tirò su col naso, impedendosi di piangere ancora dinanzi ad un  perfetto sconosciuto.
“Sono scappato di casa, e mi sono perso in questo bosco. Ma tu chi sei? Cosa te ne importa di me?Lasciami qui da solo col mio dolore..”
Il romano non aveva alcuna intenzione di lasciarlo da solo, lo avrebbe portato con sé e lo avrebbe protetto da chiunque volesse fargli del male. Il beta che tanto cercava l’aveva appena trovato, eppure non se la sentiva di trasformarlo, stravolgendo radicalmente la sua vita. Quel giovane ragazzo stava soffrendo fin troppo e lui non era dovuto a privargli di un po’ di pace. Sarebbe rimasto un essere umano, e lo avrebbe accudito come se fosse la persona più importante del mondo.
“Dai su, ti porto a casa mia. Non devi temere, anche se non mi conosci, io ti proteggerò sempre.”
E così anche se esitante Ermal porse la mano al romano e lo seguì verso casa sua, che si trovava a pochi metri da quel bosco.  Si guardò intorno e rimase sorpreso nel vedere una casa così bella e spaziosa, che non ascoltò nulla di quel che aveva detto il romano. Fabrizio lo fece accomodare sul divano e si incamminò verso la cucina a preparagli una cioccolata calda. Quel giovane aveva un qualcosa di speciale che tanto avrebbe voluto conoscere, lui era diverso da tutti gli altri, e ne era rimasto affascinato. Dopo alcuni minuti tornò dal ragazzo e gli porse la tazza fumante e gli si sedette accanto.
“Non mi sono neanche presentato. Io mi chiamo Fabrizio e tu? Fa come se stessi a casa tua, se hai freddo vado a prenderti una coperta, basta che tu lo dica e io corro a prenderla.”
Ermal sorrise e mentre sorseggiava la cioccolata lo guardò dritto negli occhi, contento di essere al sicuro in quella casa anche se con un perfetto sconosciuto, di cui sapeva soltanto il nome.
“Io mi chiamo Ermal. Non preoccuparti, sto bene così.”
Trascorsero le ore in assoluto silenzio finché il riccio non sentì gli occhi appesantirsi e si accoccolò sulle gambe del romano, che non si spostò di un centimetro e gli accarezzò delicatamente i riccioli. Era così docile quel ragazzo, che gli sembrava un angelo. Non conosceva la sua storia, ma dentro quegli occhi lucidi era riuscito a percepire un dolore troppo grande per un ragazzo della sua età e se ne sarebbe preso cura, giorno per giorno e lo avrebbe aiutato a fermare le ferite sanguinolente del suo cuore. Gli avrebbe raccontato la verità ma non adesso. Avrebbe taciuto ancora un po’ per non rovinare quel momento così idilliaco, che avrebbe voluto fotografare nel cuore e nella mente. Ermal era una persona splendida, e non aveva bisogno di altro, se non di un po’ di quiete dopo la tempesta che stava attraversando. Non sarebbe più rimasto solo e non avrebbe più rivisto quel mostro che lo aveva privato della sua felicità. Fabrizio sarebbe divenuto il suo alfa, il suo protettore e non avrebbe più temuto l’oscurità. Era a casa, tra le braccia di quel romano e poco a poco avrebbe riacquistato la sua dose di felicità.

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