FERMO NEL TEMPO

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Ermal e Fabrizio quella sera avevano discusso animatamente, e il romano era stato così ostile nei suoi confronti, tanto da mandarlo a quel paese, articolandolo con parole pesanti. Era sempre stato un tipo irrequieto ma quella volta aveva bevuto più del dovuto e l’unica cosa che ricorda è di aver lasciato l’abitazione sbattendo la porta in faccia al riccio che si era accasciato al muro, con gli occhi colmi di lacrime. Fabrizio entrò in macchina e partì a tutto gas, con qualche lacrima che gli rigava il volto. Si era comportato molto male e non aveva scusanti per questo, soltanto perché il compagno Marco Montanari gli stava addosso, e stava facendo di tutto per attirarlo a sé. Ma era consapevole che Ermal non era il tipo da tradirlo, non nutriva alcun sentimento nei confronti di Montanari, eppure si era infuriato all’idea che qualcuno potesse toccarlo, e privargli del suo grande amore.
Le lacrime gli offuscavano la vista, e la velocità non lo aiutava di certo e come se non bastasse, iniziò a piovere incessantemente. Non sapeva dove andare a quell’ora della notte, era troppo tardi ed era buio pesto,anche se qualche strada era illuminata dai lampioni. Era arrivato ad un incrocio e l’ultima cosa che ricorda è un bagliore che gli acceca gli occhi e poi buio totale.
Non riusciva a esalare un respiro, apriva e chiudeva le labbra per dire qualcosa, ma non usciva nulla dalla sua bocca. Gli girava vorticosamente la testa e si tastò con la mano e notò il sangue che lo fece agitare, ipocondriaco com’era. Non voleva morire, non prima di aver visto il suo Ermal e chiedergli scusa per il suo comportamento. Aveva paura e iniziò ad agitarsi, annaspando e tentò di gridare il suo nome ma la voce era flebile, e arrivò come un sussurro. Venne portato urgentemente in ospedale e le luci del neon lo innervosivano, sentiva dolore ovunque e non riusciva più a tenere gli occhi aperti, era così stanco e solo. Fece del suo meglio per restare sveglio, ma poco a poco cedette alla stanchezza e chiuse gli occhi.
Ermal era rimasto in casa a singhiozzare, ripensando a quel che il romano gli aveva detto. Ma nonostante quelle parole così crudeli lo aveva perdonato, l’amore sovrastava qualsiasi altro sentimento, e non gliene importava più. Magari ne avrebbero parlato il mattino seguente, dinanzi ad una tazza di caffè. Si rialzò da terra e andò in cucina per bere un po’ d’acqua quando ricevette una telefonata da parte di Fabrizio e rispose al primo squillo, pronto  a chiedergli di tornare da lui ma le parole gli morirono in bocca quando sentì una voce estranea
“mi scusi Ermal, sono il primario. Non so chi sia per lei Fabrizio, ma deve correre urgentemente in ospedale, perché è stato coinvolto in un incidente stradale.”
Sentì all’improvviso un nodo in gola e credette di non riuscire più a respirare, lo ringraziò e si affrettò ad entrare in macchina per raggiungere l’ospedale.
Quando arrivò corse tra i corridoi e venne fermato dal dottore, e cercò di spiegarli la situazione critica del romano. Aveva un’emorragia cerebrale e aveva subito danni importanti al cervello e molto probabilmente avrebbe perso la memoria. Ermal nascose il volto tra le mani e riprese a piangere e chiese se poteva vederlo, ma dovette aspettare a lungo prima di riuscire a guardarlo in quello stato pietoso.
Entrò nella stanza e gli si sedette accanto prendendogli la mano, e lo vide aprire lentamente gli occhi e un sorriso aleggiò sulle sue labbra e Fabrizio confuso lo guardò, non riconoscendolo.
“Tu chi sei? Voglio la mia mamma.”
Il riccio represse le lacrime e gli carezzò il volto, quanto era docile quell’uomo che si atteggiava come un bambino di quattro anni.
“La mamma verrà tra un po’ Fabrizio. Adesso ci sono io con te, sta tranquillo.”
Il romano si imbronciò e sbuffò sonoramente, stropicciandosi gli occhi e riprese a guardare Ermal, che si sentiva impotente dinanzi a quella visione angelica seppur fosse intubato. Non era il suo Fabrizio, il dottore gli aveva accennato che avrebbe potuto avere dei problemi di memoria, e lui adesso era rimasto all’età di quattro anni. Come doveva comportarsi ? Cosa avrebbe dovuto fare con lui? Sicuramente si sarebbe preso cura di lui e lo avrebbe continuato ad amare, gli avrebbe insegnato di nuovo le cose basilari e non lo avrebbe perso di vista per un secondo.
Trascorse tutto il tempo accanto al “piccolo” Fabrizio che si stava affezionando a lui, e gli inumidiva le guance con piccoli baci e gli pizzicava le guance, ridendo felicemente.
Il giorno seguente avrebbe potuto tornare a casa, e Ermal era pronto ad accudirlo, a insegnarli tante cose. La notte restò con lui perché il romano aveva paura del buio e poggiò la testa sul bordo del letto e sonnecchiò fino all’alba.
Quando Fabrizio si svegliò allargò le braccia e strinse il collo del riccio che lo accolse in un abbraccio affettuoso e gli scompigliò i capelli.
“Dai su, adesso ti aiuto a vestirti e poi andiamo a casa. Va bene?”
Fabrizio annuì e si lasciò spogliare da Ermal che dovette fare uno sforzo immondo per non eccitarsi dinanzi a quel corpo nudo, ricoperto di tatuaggi. Lo aiutò a vestirsi e lo fece scendere cautamente dal letto, uscendo dalla stanza e dopo aver firmato delle carte uscirono ed entrarono in macchina. Gli allacciò la cintura di sicurezza e accese la radio, ricordando di avere un cd di canzoni per bambini che aveva lasciato sua nipote, una volta di tanto tempo fa.
Quando giunsero a casa Fabrizio si guardò intorno, meravigliato e si mise a saltellare nella stanza, gioiosamente anche se si sentiva dolorante. Aveva bisogno di stare a riposo, e lo fece sedere sul divano accendendo la tv. Restò a guardarlo mentre guardava i cartoni animati, con un peluche che gli aveva comprato la sera prima mentre lui dormiva. Immaginare di avere accanto a sé un Fabrizio bambino gli riscaldava il cuore, gli piaceva quella visione ma sentiva quella mancanza di poter posare le labbra sulle sue, carezzandolo e facendo l’amore tra le lenzuola. Gli sarebbe mancato toccarlo come solo lui faceva e sentirlo gemere al suo tocco. Tutto adesso sarebbe stato diverso, avrebbe dovuto imparare cose nuove, e amarlo diversamente, sperando che poco a poco recuperasse la memoria. Voleva tanto dirgli ti amo, ma gli si sedette accanto, accoccolandosi a lui e gli sussurrò all’orecchio “ti voglio bene piccolo.”

DISAGIO #METAMORO PT.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora