15. Scusami

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Quando Eli e Stefano passarono a prendermi ero già pronta, li raggiunsi in macchina e andammo un po' giro. Eli tentava di prendersi cura di me. Lei e Ste erano così gentili, avevano sempre un pensiero carino per me, mi facevano da angeli custodi. Ci spostammo al bar dove ci raggiunsero gli altri. Mi sentivo inadeguata, sentivo gli occhi di tutti fissi su di me. Era come se tutti conoscessero i miei problemi, come se i miei occhi palesassero i miei tormenti. Tutte le mie paranoie si dileguarono quando Paolo passò a salutarci. Quella sera avrebbe avuto da fare con Carmela quindi non sarebbe rimasto. Era passato per vedere come stavo, lo leggevo nei suoi occhi quando passandomi accanto mi posò una mano sulla spalla. 

Quando loro andarono via sentii ripiombare su di me gli occhi di tutti. Ero in estremo imbarazzo quindi decisi di tornarmene a casa, Giovanni si offrì di riaccompagnarmi. Una volta saliti in macchina mi propose un compromesso, mi avrebbe accompagnato solo se prima avessi passato un po' di tempo con lui.  Accettai di buon grado, mi faceva piacere passare del tempo con lui. Lui era l'icona dell' "amico simpatico", raccontava le barzellette, faceva le imitazioni, era davvero fantastico. Era quello di cui avevo bisogno in quel momento. 

Poi mi riaccompagnò a casa, si assicurò che stessi bene ed aspettò che richiudessi il portoncino alle mie spalle per ripartire. Dopo alcuni gradini mi fermai e decisi di uscire di nuovo. Raggiunsi il cortile situato dietro il mio palazzo. Camminavo su e giù tra la ghiaia ripensando a tutte le volte in cui io e Luca da bambini ci giocavamo con i soldatini o con i Lego. Ero proprio un maschiaccio, nonostante le gonne a ruota e i merletti che mamma si ostinava a farmi indossare. Riuscii persino a sorridere ripensando alla mia infanzia, a tutte le volte che sporcavo i vestiti o a quando li scambiavo con Luca per imitarlo e fingere di essere fratelli. Da quelle immagini trovai coraggio, capii che non era più tempo di piangermi addosso ma di reagire. Ero presa da una strana forma di euforia, presi il cellulare e scrissi un messaggio:

"Ho davvero bisogno di dirtelo, ti voglio bene comunque"

Scorsi la rubrica fino alla "l" di Luca e inviai il messaggio. 

Non mi pentii affatto di quello che avevo appena fatto anzi, ne andavo fiera. Era la parola fine al mio fiume di dolore interiore. Il mio cellulare cominciò a squillare. "Luca" pensai d'istinto. La mia speranza svanì subito quando notai che la chiamata arrivava da un numero sconosciuto. Lasciai squillare ancora il cellulare senza rispondere ma alla seconda chiamata qualcosa mi spinse verso quel piccolo tasto verde.

""Pronto?" risposi quasi chiedendo chi fosse dall'altro capo del telefono.

"Dove sei?" mi chiese la voce che stentavo a riconoscere.

"Scusa ma..."

Prima che potessi continuare la voce ormai diventata familiare mi bloccò "non mi dire che non mi hai ancora riconosciuto, non te lo faccio passare!"

"Paolo?"

"Paolo si, sono io. Ma non hai ancora salvato il mio numero in rubrica?"

"Ehm... Non ci avevo pensato. Lo faccio subito"

"Era ora! Ma torniamo a noi, dove sei?"

 "Perché? E' successo qualcosa?"

"Niente, quando sono tornato al bar non ti ho più trovata. Mi hanno detto che te ne sei tornata a casa"

"In effetti sono a casa, non avevo tanta voglia di stare tra la gente"

"Come stai?"

"Abbastanza bene credo"

"Sicura?"

"Si, lo so che sembra strano ma il peggio è passato"

"Hai mica parlato con Luca?"

Prenditi cura di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora