56. Io non credo di amarla

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Ventitre.

Erano esattamente ventitre le volte in cui avevo controllato il mio cellulare nell'ultimo quarto d'ora.

Un centinaio nell'ultima ora.

Un'eternità da quella mattina.

Da quando, ancora mezza addormentata, avevo ricevuto il messaggio del buongiorno da Paolo.

Quello sarebbe stato un giorno importante, o almeno, lo sarebbe stato se Paolo avesse davvero parlato con Carmela e le avesse detto qualcosa che segretamente speravo.

Erano ormai le 17, ero stesa sul mio letto, la musica a palla si espandeva dalle casse e riempiva la stanza isolandola da qualsiasi altro rumore.

Ero agitata. Aspettavo impaziente un cenno, un messaggio, una chiamata, qualsiasi cosa.

Ma niente.

Sbuffavo, mi rotolavo da una parte all'altra, sbloccavo il cellulare e ricominciavo da capo.

17.15.

Ancora nulla.

Stavo per andare in ansia. Mi spostai alla scrivania, avviai il computer e provai a distrarmi ma non funzionò granché, quindi presi a camminare nervosamente per la stanza.

Il cellulare cominciava a scottare tra le mie mani!

Aspettai impaziente fino alle 18 quando iniziai a perdere ogni speranza, probabilmente quella sera nemmeno lo avrei visto Paolo.

In realtà avevo detto a Manuel che avrei visto la partita con loro ma cominciavo a dubitare di voler mantenere l'impegno preso. Non sarei andata da nessuna parte senza aver prima chiarito con Paolo.

Tornai a crogiolarmi a letto fin quando non mi accorsi che mia madre aveva fatto capolino nella mia camera.

Alzai lo sguardo verso di lei per incitarla ad entrare.

-Abbasseresti il volume della musica?-

-Ok- sbuffai.

Lei si avvicinò al letto sedendosi accanto a me.

-Giù c'è Paolo che ti aspetta-

-Paolo?-

-Avete litigato?-

-Noi? No, perché?-

-Perché oggi sei strana, sembri agitata e ti sei chiusa qui dentro con la musica altissima-

-No, stavo solo aspettando un messaggio-

-Da Paolo?-

-Da Paolo!-

-E allora che aspetti? E' giù, raggiungilo no?-

-C'è davvero?-

-Suppongo di si, ha suonato al citofono, credo stia ancora aspettando-

-Ok allora- dissi titubante -mi metto in ordine e scendo in un attimo-

Mia mamma annuì lasciando la stanza.

Mi catapultai in bagno, lavai il viso e i denti. Pettinai alla bell' e meglio i capelli e indossai una giacca leggera.

Scesi le scale col cuore che stentava a battere ad un ritmo normale, mi sarebbe bastato guardare Paolo in viso per avere idea di cosa mi aspettasse.

Lui era di spalle, quando aprii il portoncino però si voltò di scatto.

I nostri occhi si cercarono e lui sorrise.

Un sorriso forzato, triste, cupo.

Non c'era certamente nulla per cui esser felice.

Mi avvicinai a lui che intanto mi stava venendo incontro. Non mi abbracciò come faceva di solito e non lo feci nemmeno io. Avrei voluto accarezzargli il viso ma non sapevo come avrebbe reagito.

Prenditi cura di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora