65. Ho portato il gelato

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Durante l'intervallo mi spostai in camera per preparare lo zaino, vi infilai dentro un dizionario, delle penne e tanti fazzoletti poi mi gettai sotto la doccia. Anche quello contribuì a rilassarmi, l'acqua calda che scorreva sul mio corpo sembrava riuscire a sciogliere le piccole contratture muscolari dovute allo stress.

Indossai uno dei miei ridicoli pigiami e uscii dal bagno per tornare in sala a godere del secondo tempo della partita. La partita era già cominciata ma quello che mi colpì immediatamente fu la visione di Paolo seduto accanto a mio padre.

Quando notò la mia presenza mi sorrise imbarazzato con quella sua buffa espressione colpevole.

-Che ci fai qua?- gli chiesi confusa.

-Ho portato il gelato- rispose scrollando le spalle.

Scossi la testa con un sorriso felice stampato in volto, senza parole e senza pensieri non riuscii a pensare ad altro che non fossero gli occhi di Paolo.

Quelli emanavano una strana luce particolare, mi scaldò il cuore e l'animo. Ero come incantata dalla sua presenza, il mio sguardo era calamitato dal suo e in me si stava creando un tornado di emozioni.

Sembrava strano, scontato ma averlo lì, davanti ai miei impotenti occhi, mi faceva desiderare di potergli stare ancora più vicino, mi mancava il suo contatto, quel gioco di mani e di tocchi nascosti e inconsapevoli che mi facevano stare bene, mi facevano sentire viva.

Fu mia mamma a risollevarmi da quello stato di trance.

-Io e papà tra un po' ce ne andiamo a letto, se volete potete andare in camera- disse.

Sapevo fosse una bugia e sapevo lo avesse fatto solo per togliermi dall'imbarazzo nel quale, la sola presenza di Paolo, mi aveva intrappolata.

Feci a lui un cenno con la testa e lo invitai a seguirmi. Lui si scusò coi miei e mi raggiunse.


Come la prima volta che vi aveva messo piede, quando entrò nella mia stanza, trattenne il fiato guardandosi intorno.

Prima di posizionarsi sul letto mi chiese di recuperare dei tovaglioli e due cucchiaini per il gelato ed io obbedii senza nemmeno pensarci due volte.

Mettendosi totalmente a suo agio accese il televisore sintonizzandolo sulla partita e quando tornai in camera lo trovai intento a fissare lo schermo e mormorare qualcosa di incomprensibile alle mie orecchie. Mi accostai a lui e cominciai a pensare a tutte le domande che mi ronzavano in mente ma lui mi anticipò mettendo un freno agli ingranaggi del mio cervello.

-Vuoi sapere perché sono qua, vero?-

Annuii meccanicamente.

-Non volevo lasciarti sola stasera- disse senza guardarmi -e non potevo lasciarti andare a letto senza cena-

Gli sorrisi grata e mi feci più vicina.

-Forse avresti preferito Andrea o, meglio ancora, il tuo Marco- disse con un ghigno tenendo lo sguardo fisso dinnanzi a sé.

-Stupido- gli dissi schiaffeggiandogli bonariamente un braccio -la smetti con questa scemenza?-

-Tanto lo so che avresti preferito loro a me-

Sbuffai -e anche se fosse?-

Lui si voltò contrariato -non dirlo nemmeno per scherzo!-

Tirai fuori la lingua e, per metterlo in difficoltà, gli porsi una domanda che risultò più sprezzante di quanto volessi.

Prenditi cura di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora