48.

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CAN

Sedevo sul piccolo divano, aspettando che lei uscisse dalla camera.

Poggiai la testa sullo schienale, fissando il mio sguardo sulle travi in legno del soffitto.

Sospirai, ripensando a tutto quello che era avvenuto nelle ultime settimane.
La dichiarazione di Sanem. La sua lontananza per il mio rifiuto. Il galà di Yaman. Il tango. La notte che avevamo passato insieme e la sua successiva nuova presa di distanza da me. Ed infine la mia decisione di venire qui.

Non sapevo se per le parole di Burak, o di Yaman, o di Rubino... o di mia madre... se per tutto quel tempo in cui non avevo potuta averla accanto a me... se per via di tutti i pensieri che mi avevano fatto compagnia durante la sua assenza... se per il fatto che avessi abbandonato infine le mie paure... ero riuscito a capire di amarla, come non avevo mai amato prima.

Solo pensando all'amore che provavo per lei, avevo capito che quello che avevo provato per Polen non era affatto amore ma abitudine. Per fortuna mi aveva tradito e i preparativi delle nozze erano stati annullati. Sposandola avrei commesso il più grande errore della mia vita.

Burak aveva sempre avuto ragione, e mi costava ammetterlo, ma così era. Mi ero innamorato di Sanem molto prima di rendermene conto, molto prima che lei si dichiarasse a me, ma non avevo voluto ammetterlo lo stesso, avendo stupidamente paura che anche lei potesse tradirmi. Ma come ho detto, con Polen era abitudine, non amore.

Avevo capito tutto di colpo e quello che mi aveva fatto scattare era stata la spiegazione che Sanem mi aveva dato per il nome del suo profumo.
'Quando sentirà il mio profumo ricorderà. Ricorderà di come ha spezzato il cuore di una donna che lo amava e di come quella donna sia diventata irraggiungibile per lui.'
L'idea che avesse scelto di allontanarsi da me, l'idea che l'avrei persa per sempre, mi avevano spaventato. Per un secondo avevo provato a pensare ad una vita senza di lei o con lei, ma senza che mi parlasse più, che mi sorridesse, che mi amasse... e solo il pensiero mi aveva distrutto.
Lì avevo capito tutto. Amavo quella donna più della mia stessa vita.

Nel momento in cui lei si era rifugiata in casa e avevo visto Rubino passare in salotto, una lampadina si era accesa nella mia mente.

Ero sicuro che portandola qui in Italia e confessandole il mio vero amore, tutto sarebbe cambiato, tutto sarebbe diventato ancora più meraviglioso di prima. Ma ora non ne ero sicuro.
L'avevo ferita, spezzata, in modo orribile e la prova che così era, me l'aveva data con la reazione che aveva avuto alle mie parole.

Per una frazione di secondo avevo visto un miscuglio di felicità e sorpresa nei suoi occhi, ma erano svanite subito.
Il fatto che fosse stata in grado di credere che le avrei mentito su questo mi aveva deluso e fatto arrabbiare.

Mi aveva chiesto di lasciarla sola e pur controvoglia così avevo fatto. Ero uscito dall'hotel, messo in moto l'auto e guidato fino a casa di Alberto, dove avevo trovato Rubino.

Avevo passato il resto della giornata con loro, congratulandomi con quell'amico d'infanzia che non vedevo da una vita e ascoltato le loro parole.
Solo quando ero risalito in macchina mi ero accorto di quanto ero stato via, di quanto tempo l'avevo lasciata sola, ed in più mi ci sarebbero volute ancora circa due ora prima di arrivare all'hotel.

Rientrando nella nostra stanza avevo trovato solo la piccola lampada del salotto accesa, che lei aveva lasciato per me.
Mi ero spogliato del cappotto, fatto una doccia veloce e poi ero entrato nella camera da letto.

L'avevo trovata sepolta sotto il piumone, tutta rannicchiata su se stessa, cercando di scaldarsi, cercando di proteggersi.
Non appena mi ero infilato nel letto, nel sonno si era voltata verso di me e aveva appoggiato la testa sul mio petto.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora