73.

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ANNE

"Eh... con Francesco ci sono sviluppi?" Mi domandò, sorridendomi, guardandosi velocemente attorno.

Esitai nella risposta. Cosa c'era con Francesco? Non c'era nulla... per lo meno da parte mia. Lo avevo conosciuto sei mesi fa, quando avevo aperto la causa. Ci eravamo trovati a vicenda. Nonostante la sua giovane età, tutto sommato, era uno degli avvocati più di successo di Roma. Aveva sempre appoggiato grandi cause e le aveva vinte tutte.

Era un bel ragazzo, questo non lo si poteva negare. Occhi verdi, capelli castani e un corpo modellato dal nuoto.
Ma per me era un bel ragazzo, e basta. Solo una volta nella mia testa era passato che potesse essere qualcosa di più, ma mi ero rinnegata subito. Purtroppo la mia testa era concentrata sempre sullo stesso uomo, sempre ricorreva a quegli occhi neri come la pece che mi facevano sentire la donna più bella del mondo.

"Più tardi usciamo." Le risposi, senza dilungarmi troppo. Ma alla mia amica non sfuggì la mia espressione.

Aggrottò la fronte. "C'è qualcosa che non va?" Mi chiese, avvicinandosi di più alla cellulare, come a vedermi meglio.

Sospirai e distolsi lo sguardo per qualche secondo. "Beh sì, ma questo da otto mesi a questa parte." Scherzai, ma con tono molto affranto, e sul suo viso si disegnò un sorriso compassionevole.
"E che... non riesco più a trovarmi in niente Leyla. Mi sembra di vivere in un paese sconosciuto, che non fa altro che diventare tale sempre più, ad ogni giorno che passa. Ora, con la chiusura del processo, non mi sembra di avere più nessuno scopo, nessun obbiettivo da raggiungere. Francesco ha dell'interesse per me, ma io mi spiace, non-non riesco a ricambiarlo... appena una qualsiasi persona mi si avvicina, mi irrigidisco. L'unica persona che riesce a calmarmi è Coop." Feci una piccola pausa. "Non so come, ma devo riuscire a trovare il modo di andare avanti, non posso rimanere ancorata al passato." Mormorai, vedendola annuire dall'altra parte dello schermo.

Mi sorrise e mi mandò un bacio. "Io ora devo proprio andare. Però per favore promettiamoci di sentirci più spesso, d'accordo?" Mi chiese, con quei meravigliosi occhi azzurri.
Le sorrisi a mia volta ed annuii, quindi ci salutammo.

Lasciai il telefono sul divano, alzandomi e andai a prendermi una delle mie sciarpe calde, per poi uscire sulla terrazza del salotto. Mi ritrovai davanti il mare, oggi tremendamente tranquillo. Lo sciabordio delle sue onde sembrava una ninna nanna.
Socchiusi gli occhi, appoggiandomi alla ringhiera, inspirando il suo profumo di libertà.

Sentii la porta d'ingresso sbattere in sottofondo e per un attimo il mio cuore sussultò, ma poi riconobbi di chi era quel modo molto carino di entrare in casa.
Non mi mossi da dov'ero, sentendo la sua voce mentre mi chiamava, con quel suo accento sempre buffo in ogni cosa che pronunciava.

"Oh eccoti, Pulce! Che non mi hai sentito?" Esclamò, piombando nel mio momento di pace, interrompendolo definitivamente.

Mi voltai verso di lui, sospirando appositamente, quindi mi guardò interrogativo. "Stai, stai sbuffando? Mi vuoi dire che ti do fastidio?" Mi domandò accigliato, posandosi le mani sui fianchi. Oggi era tornato a vestire come al solito, più sgangherato che mai; scarponi non legati bene, una parte della camicia infilata nei pantaloni e l'altra no, i capelli che sembravano avere una vita propria e come sempre, una gamba dei pantaloni infilata nello stivale e l'altra no. Non aveva nessun problema ad agire in borghese, a volte sembrava più lui il soggetto da prendere che chiunque altro.

Annuii, non riuscendo però a rimanere troppo seria. Ridacchiò e spalancò le braccia, invitandomi ad abbracciarlo.
Non esitai un secondo, rifugiandomici immediatamente. Mi strinse forte forte a sé; a volte mi sembrava di abbracciare mio padre.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora