3.

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CAN

Sedevo alla mia seconda scrivania, dandole le spalle, con lo sguardo perso fuori dalla finestra, contemplando il crepuscolo e i gabbiani che volavano alti sopra il mare. Mi piaceva guardarli volare, mi dava un senso di libertà, di pace che ormai non provavo più da tanto. Le sfumature del cielo e gli ultimi raggi del sole entravano nell'ufficio dalle grandi finestre, irradiandolo di una luce naturale e confortevole, quasi rendendolo un altro posto.

Sorseggiai le due dita di whiskey che mi ero versato prima, cercando di ordinare i pensieri.
La rabbia, l'odio, il desiderio di vendetta continuavano a ribollirmi nelle vene da svariate settimane, aumentando ogni giorno di più. A volte ancora non riuscivo a credere che non ci fosse più.

Dovevamo vendicarci, dovevamo farlo per lei, ma come? Come avremmo potuto infliggere così tanto dolore? Più che dolore e morte quello che volevo per loro era una lenta e continua preoccupazione per qualcuno a loro caro.

La porta si spalancò di colpo e pur senza voltarmi sapevo chi era; i miei uomini erano educati e bussavano, lui invece si comportava sempre come se fosse a casa sua.

Lo sentii accomodarsi su una delle due sedie in pelle e servirsi del whiskey.

Mi girai con il bicchiere appoggiato alla tempia. "Mi raccomando come se fossi a casa tua." Gli dissi retorico, osservando i suoi movimenti rigidi.

"Sempre." Rispose, alzando il bicchiere per poi riportarlo alle labbra carnose. "Ti è venuto in mente qualcosa?" Chiese, grattandosi la barba incolta.

Scossi il capo, guardandolo dritto negli occhi neri, sospirando.

Si morse il labbro e dopo brevi secondi, sbatté il bicchiere di cristallo sulla mia scrivania in mogano.
"Io ho un'idea." Mormorò, iniziando a muoversi a scatti e in modo agitato, perdendo il suo solito controllo.

Finii il liquido ambrato e lo osservai, guardandolo con la mia solita calma e compostezza, caratteristiche che possedevo fin dalla nascita. Dinanzi agli altri, al pericolo, alle situazioni di vita o di morte ero calmo e a mio agio, ma poi quando tornavo alla mia dimora, solo, era lì che la rabbia e la paura prendevano il sopravvento e si insinuava dentro di me la voglia di spaccare tutto. "E quale sarebbe?"

"Facciamo loro ciò che loro hanno fatto a noi. Ammazziamo chi loro hanno di più caro." Sussurrò a denti stretti, con gli occhi che bruciavano di rabbia, una rabbia che non si sarebbe mai spenta. Pensai che se li avesse avuti davanti a sé in quel preciso istante li avrebbe uccisi a mani nude.

Mi accarezzai la barba e strinsi le mie pietre nella mano. "Burak, noi non lavoriamo così. Sono sicuro che c'è un'altro modo per-"

"Quand'è che riuscirai a tirar fuori le palle, huh?! Cosa pensi di fare? Rimanere qui ed aspettare che miracolosamente Allah la riporti in vita? Io ho perso mia moglie e tu rimani qui come se non te ne fregasse nulla!" Mi interruppe alzandosi in piedi, battendo i pugni sulla scrivania.

Parte della compostezza di cui parlavo prima andò di colpo in fumo, non potevo accettare quelle parole. "Non me ne frega nulla?! Io ho perso mia sorella Burak! Quello che tu definisci fregarsene è in realtà pensare ad un piano. Ma senza uccidere nessun'innocente!" Urlai ad un palmo dal suo viso.

"Hulya non era innocente forse?" Continuò, trucidandomi con lo sguardo.

Mi morsi l'interno guancia, sapendo che aveva ragione anche se non approvavo le sue idee per vendicarla.
Alzai in aria le mani, arrendendomi e facendo un passo indietro. "Va bene Burak, facciamo a modo tuo. Fai delle ricerche e quando hai qualcosa di certo fammi sapere."

Mi guardò allucinato, non credendo alle mie parole. Si ricompose ed annuì. "Bene. Vado a casa e mi metto subito al lavoro. Cercherò di farti sapere qualcosa in questi giorni." Abbottonò la giacca elegante ed uscì dal mio ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora