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ANNE

Parcheggiai davanti alla villa della mia ex ragazza, quando il mio cellulare mi avvertì dell'arrivo di un messaggio.
Era Yaman. "È in casa. Noi siamo a poco da scoprire quali collegamenti ha." Perfetto.

Balzai fuori dall'abitacolo alla velocità della luce e feci il giro da dietro, sapendo di quell'apertura nella siepe. Vi passai e mi ritrovai nel giardino; vidi che tutte le finestre e le porte erano chiuse, tranne una al piano superiore. Se ricordavo bene, quella era camera sua.

Indietreggiai di un paio di passi, studiando un modo per raggiungere quell'accesso. Così facendo notai anche una portafinestra aperta che dava sul piccolo balcone, opposto alla sua camera. Ancora meglio.

Mi arrampicai sulla grande quercia che si ergeva in mezzo a tutto quel verde. Scelsi il ramo che portava più vicino al mio obbiettivo; c'erano comunque ancora un paio di metri che mi separavano. Con un po' di difficoltà, mi alzai in piedi, mantenendo l'equilibrio. Inspirai e poi saltai, aggrappandomi alla ringhiera. Mi tirai su, con la sola forza delle braccia, per poi scavallare il parapetto.

Entrai furtivamente, col passo più felpato di quello di una pantera. Mi ritrovai nel corridoio che portava nelle diverse camere da letto ed io mi diressi verso la sua. A pochi metri dalla porta, uscì la figura di Polen, che stringeva in mano il telefono. Non si accorse della mia presenza.

"Ti tieni aggiornata sui tuoi progetti." Domandai, sotto forma di affermazione, a denti stretti e con tono basso.
Saltò leggermente per lo spavento, non aspettandosi che l'avrei trovata. Vidi il panico nei suoi occhi.
Non le avevo mai raccontato della mia doppia vita, ma visto il terrore nelle sue iridi azzurre, era a conoscenza di quello che potevo arrivare a fare.

Non balbettò una sola parola e al contrario, prese a correre diretta al piano di sotto. Codarda.

Avevo l'ira a mille, non le avrei permesso di scapparmi dopo tutto quello che aveva fatto.

Le lasciai qualche secondo di vantaggio, tanto con quei tacchi che si ritrovava sempre ai piedi non sarebbe andata tanto lontana. Quindi, le corsi dietro, scendendo lungo le scale; le ero già dietro.
Aspettai di finire la discesa che poi l'afferrai per un braccio, sbattendola con forza al muro. Non avevo mai torto un solo capello a Sanem e per quanto potessi essere spietato, donne e bambini non erano i miei obbiettivi. Ma in questo caso dovevo fare un'eccezione.

Mi trovai a pochi centimetri dal suo viso, facendo rabbiosamente avanti e indietro nei suoi occhi, svettando su di lei. In risposta dalla sua bocca uscì un risolino compiaciuto. "Ti è sempre piaciuto sottomettere." Mormorò leccandosi le labbra.

"Ma te hai sempre fatto pena. Proprio come ora." Replicai, stringendo le sue piccole spalle. "Ti conviene dirmi tutto ora, se non vuoi che finisca male." La minacciai e lei sorrise di nuovo.

Mi guardò con superiorità. "Se mi uccidi, morirà anche lei. Fai attenzione a non sbagliare." Se ci fosse stata ancora una piccola possibilità che non credessi nel suo coinvolgimento, ora avevo avuto la conferma.

Questa volta fui io a sorridere. "Oh tesoro, sei tu quella che sbaglia." Feci una piccola pausa, portando una mano sul suo collo e stringendolo leggermente. "Per quanto io ora desideri strozzarti, romperti l'osso del collo o torturati quanto tu hai fatto con lei... non lo farò. Ma vedrai come tra qualche secondo canterai come un usignolo." Ghignai, sentendo il potere scorrere nelle mie vene, vedendo con la coda dell'occhio il mio diversivo arrivare.

Infatti, pochi istanti dopo, si udì il rumore della porta d'ingresso che venne aperta con forza, tanto da andare a sbattere contro il muro. Vidi con la coda dell'occhio che Polen corrugò la fronte e quando sentì dei gemiti di dolore, si fece ancora più perplessa.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora