60.

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CAN

Parcheggiai alla velocità della luce e balzai fuori dall'auto.

Non ero mai stato così preoccupato in vita mia.

A due passi dall'entrata, Rubino mi aprì la porta, come ogni volta che arrivavo.

Non sapevo dire se il fatto di essere a casa mi tranquillizzasse o mi agitasse di più.
Scalciai via le scarpe, guardandomi intorno. "Si può sapere che sta succedendo?" Domandai al mio fedele maggiordomo.

"Vi posso giurare che non ne ho la minima idea." Fece una breve pausa, richiudendo la porta. "Mi ha chiamato in lacrime, chiedendomi di andare a prenderla. Non sapeva dove si trovasse, ma grazie agli indizi che mi aveva fornito sono riuscito a raggiungerla. Non ha proferito una sola parola, non so cosa sia successo. Mi ha solo detto, ordinato, di non chiamarla e di non dirle nulla. Ora si trova in una delle stanze per gli ospiti." Mi riferì, vedendo un po' di preoccupazione anche nei suoi occhi.

Annuii, con il cuore che batteva all'impazzata.
Socchiuse gli occhi e dopo il suo solito piccolo inchino, si dileguò in cucina.

Salii al piano di sopra, sicuro di sapere in quale camera si fosse rifugiata.

Per esserne ancora più sicuro, provai le altre, vedendo che tutte avevano le porte aperte.
Mi diressi allora verso quella stanza. Sapendo che la porta sarebbe stata chiusa, non provai neanche ad afferrare la maniglia.

"Sanem? Cosa sta succedendo? Perché non hai risposto a nessuna delle mie chiamate?" Le chiesi col fiato corto.

Ero sempre stato impeccabile nel mantenere il controllo di una situazione, ma da dopo che lei era entrata nella mia vita, quando le cose riguardavano lei, noi... andavo fuori di testa.
Detestavo il fatto di averle urlato oggi mentre ci trovavamo lungo il lungomare e averla lasciata da sola, ceco ormai dall'ansia che ci fosse qualcosa che non andava. Mi ero lasciato prendere dai miei timori oggi, spaventandola e peggiorando solo le cose.

Lo avevo detto io che c'era qualcosa, poche volte i miei presentimenti erano sbagliati. E il fatto di non sapere che cazzo ci fosse mi mandava in bestia.

Il mio respiro continuava ad essere pesante e mi sembrò persino di sentire la mia fronte imperlata da piccole gocce di sudore.
Sentii il telefono squillare; lo estrassi dalla mia tasca, buttando un'occhiata veloce a chi fosse.
Yaman.

"Dannazione!" Mormorai a denti stretti; non vedevo l'ora di ricevere una sua chiamata, ma ora non era il momento. Spensi del tutto il cellulare, rimettendolo in tasca.

Sospirai. "Sanem, vuoi aprire qu-" Mi interruppi quando, impugnando la maniglia, la porta si aprì.
Non l'aveva chiusa.

O voleva qualcuno accanto o voleva uno scontro.
Sapevo nel profondo quale era delle due opzioni, ma sperai vivamente di sbagliarmi.

Guardai per qualche secondo quella maniglia, un po' incredulo. Aprii lentamente la porta, mentre i miei occhi avevano già preso a cercarla di qua e di là.

La vidi. Mi dava le spalle.
Il suo sguardo era rivolto davanti a sé, oltre le finestre che aveva davanti.

I miei occhi erano fissi su di lei, attenti ad ogni minuscolo dettaglio.
Avanzai nella stanza a grandi falcate ma, quando la vidi portare leggermente il capo all'indietro e prendere un bel respiro, mi fermai immediatamente a pochi passi da lei.

La vidi stringere i pugni lungo i fianchi, per poi voltarsi.
I suoi occhi erano rossi e gonfi, la sua mascella serrata e il suo sguardo era pieno di delusione e rabbia.

Mandai giù a fatica la saliva, aspettando la sua prossima mossa.

Si morse con forza le labbra, arrivando di fronte a me. La pelle alla base del suo collo era rossa, il suo petto si alzava ed abbassava velocemente, ma cercava lo stesso di tenere a bada il suo respiro.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora