9.

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ANNE

"Puoi lasciarmi sola Ozge? Grazie mille." Chiesi flebilmente con la testa completamente da un'altra parte, mentre osservavo il bellissimo e raffinatissimo abito bianco posato sul nostro letto.

Annuì ed uscì in silenzio, chiudendo le porte in mogano.
Rimasi dei buoni minuti a fissare quello spettacolo di abito mentre delle lacrime solitarie sgorgarono fuori dai miei occhi; ormai non ero più in grado di controllarle.

Avevo sempre immaginato, sognato ad occhi aperti, fin da bambina, come sarebbe stato il giorno delle mie nozze, quale sarebbe stato il tema che avrei scelto insieme al mio futuro marito, l'abito che avrei indossato.
Sorrisi al ricordo; avevo sempre desiderato un matrimonio intimo, con poche persone, un abito semplice ma bello e soprattutto un futuro marito che mi amasse, con occhi nei quali avrei potuto trovare rifugio e nei quali sarei riuscita a vedere la parte più bella di me.
Invece il destino mi aveva riservato questo; tantissime persone che venivano a festeggiare questo "magnifico" giorno delle quali non sapevo nemmeno il nome, un abito pomposo ed un marito nei quali occhi vedevo solo il desiderio di infliggermi dolore.

Il mio labbro inferiore continuò a tremare per il magone che avevo soprattutto nel momento in cui mi appoggiai l'abito addosso e mi specchiai nel grande specchio a parete.

Lo riposi e sciolsi il nodo della vestaglia anch'essa bianca che portavo, rimanendo con solo le mutandine addosso. Con molta più difficoltà mi imposi di riportare lo sguardo sulla mia figura riflessa; presi un bel respiro e rizzai la schiena, osservandomi. Non tantissimo, ma ero dimagrita un po' dovuto al fatto che mangiavo poco o nulla e non muovevo un passo di danza da ormai due mesi, un'eternità, perdendo la tonicità.

In alcuni punti del mio corpo, soprattutto sul ventre, sulla schiena e un po' sulle gambe, avevo dei lividi. Alcuni più o meno violacei, più o meno grandi o piccoli.
Il piccolo tatuaggio trai miei seni non molto prosperosi sembrava ancora più evidente, più grande.

Mi soffermai sulla mia schiena osservando la cicatrice che partiva verso il centro per poi prolungarsi fin poco sopra all'osso sacro; per quanto insano potesse essere, quando mi trovavo ancora a Roma, molto frequentemente mi soffermavo a guardarla, a contemplarla, ad accarezzarla. Era un segno che mi sarei portata con me tutta la vita, sia psicologicamente che fisicamente.

Anche se fu davvero lunga indossai il vestito da sola, facendo attenzione a non urtare la roba che avevo in testa dato il grande lavoro che aveva fatto questa mattina la stilista. Allacciai e strinsi l'abito attorno al mio corpo, con un po' di fatica, ma ce la feci.

Quando fui pronta, me lo lisciai guadando la figura che facevo; era davvero magnifico, spettacolare, sontuoso, ma non mi ci ritrovavo proprio.
Ero davanti allo specchio quando Ozge entrò guadandomi con occhi strabuzzati. "Miss, dovevo vestirvi io!" Mi rimproverò, possiamo dire, venendo verso di me e girandomi attorno.

"Non importa Ozge, ho preferito farlo da sola." Replicai, voltandomi verso di lei, cercando di sorriderle; d'altronde lei non ne poteva nulla della mia situazione.

"Allah Allah! Siete davvero... bellissima." Mormorò con occhi amorevoli. "Lasciatemi almeno la possibilità di sistemarvi i capelli e di mettervi il velo." Mi supplicò, chiudendo le mie mani nelle sue.

Annuii e mi accomodai alla specchiera.

In una decina di minuti Ozge sciolse i miei capelli, lasciandoli ricadere in onde scure che incorniciarono il mio viso. Afferrò alcune ciocche e le fermò con due forcine; successivamente sistemò il lungo velo ricamato sulla mia testa. Il penultimo pezzo era stato posizionato. L'ultimo sarebbe stato l'anello, cui avrebbe sancito la fine della mia vita.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora