PROLOGO

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Ballavo.

Eravamo io, il mio respiro, la mia musica e il mio specchio.

Continuavo a volteggiare, a saltare, a girare il più velocemente possibile su me stessa.

Il sudore accompagnava ogni mio passo, scivolava, faceva aderire ancora di più il top bianco al mio petto.

La coda che avevo fatto era ormai andata a farsi benedire; avevo più ciocche che ricadevano ed incorniciavano il mio viso che strette nella coda.

Osservavo la mia figura nel grande specchio alla parete. Adoravo osservare i muscoli del mio corpo che si tendevano evidenziando tutte le fasce muscolari, ammirare come il mio corpo potesse muoversi a quel modo arrivando a fare cose che mai avrei pensato, sorridere nel vedere le mie guance arrossate per la fatica. Sentire il pavimento e le pareti che vibravano ai bassi della musica mi davano energia e carica, che esaurivo difficilmente.

Quello era il mio mondo. La mia ancora. Quello che mi aveva permesso di risollevarmi dal buio e dalle tenebre. La mia passione. Il mio dolore.

Nonostante fossi sudata marcia, avevo sciolto quella coda che ormai era quasi inesistente, facendo ricadere le ciocche lunghe e scure sulla mia schiena.
Roteavo il capo, tirando i muscoli del collo e avvertendo quella familiare sensazione di dolore-piacere che sentivo ogni volta che liberavo i capelli da una coda troppo stretta.

Mi ero avvicinata allo specchio, sulla punta dei piedi, ancheggiando lentamente al ritmo della sensuale sinfonia che usciva dalle casse in quel momento.

Avevo stretto tra le mie mani la sbarra di legno morbido, incrociando i miei occhi scuri nello specchio.
Avevo unito i talloni e aperto leggermente le punte nella posizione di partenza. Avevo preso un bel respiro e socchiuso gli occhi.

Eseguivo dei passi di tango alla sbarra; un passo, due e giro sulla punta, ocho atrás e apertura lenta, salita sensuale del piede sulla gamba e distensione delle braccia.
Il tango lo ballavo fin da quando ero piccolina, ma grazie a mia madre avevo imparato a ballare di tutto: dalla rumba alla salsa alla samba a qualche timidissimo passo di danza classica.

Possiamo dire che appena partiva la musica, qualunque essa fosse, io iniziavo a ballare, a muovermi a ritmo. Anche se non conoscevo la canzone o lo stile mi buttavo, anche se potevo magari risultare una deficiente incapace. Non mi importava che abominio sembrassi, io ballavo, la musica scorreva nelle mie vene.

Quella playlist, come d'altronde tutte le altre che avevo creato era un tripudio di canzoni che non avevano un nesso logico tra loro. Poche erano quelle che creavo a tema.
Infatti, terminate le ultime note di tango, si erano susseguite quelle veloci e movimentate della salsa.

Mi ero allontanata dallo specchio di qualche passo, raggiungendo il centro della piccola stanza, del mio piccolo rifugio.

Facevo qualche suzy q alternato ai toe tap. Sorridevo mentre mi muovevo al fatto che ogni volta che ballavo la salsa, inventavo dei passi o magari esistevano già ma non mi erano mai stati insegnati, lasciandomi quindi credere di essere una coreografa . Ogni volta mi risuonavano nella mente le parole del mio insegnante: "Puoi fare qualsiasi cosa tu voglia, basta che segui e stai nel tempo."
E così facevo.

Andavo sempre più veloce e avevo azzardato un incrocio troppo frettoloso, facendomi un auto-sgambetto quindi cadendo di pancia sul lucido parquet.
Grazie a Dio avevo avuto la prontezza di portare in avanti le mani altrimenti mi sarei ritrovata con un dente sì e due no.

Ero rimasta ancora qualche secondo a terra, regolando il respiro.
Mi ero tirata a sedere quando, con i capelli ancora davanti al viso incrociai due occhi neri come la pece che mi fissavano. Il ragazzo era appoggiato alla piccola porta in legno che entrava nella mia stanza; teneva le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti e perfettamente stirati, così come la giacca e la camicia bianca che portava.
Sembrava un becchino; non sapevo come facesse a stare vestito così in piena estate.

Mi stavo togliendo le ciocche scure da davanti agli occhi per metterlo a fuoco, quando un mano di cui non vidi il proprietario, gli diede dei colpetti sull'avambraccio, richiamandolo.

Prima di riuscire ad alzarmi lui era già svanito, silenzioso come una pantera.

Ero rimasta ad osservare la porta come se lui fosse ancora a lì, con la musica che continuava in sottofondo.
Era evidente che non era di qui; da quel poco che ero riuscita a vedere i suoi tratti non erano italiani.
Ero scombussolata e non sapevo il perché, ma soprattutto non riuscivo a capire chi poteva essere e cosa ci facesse a casa nostra.

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Ecco qui il prologo di Sabbie Mobili! Spero che vi abbia incuriosito, un grande bacione a venerdì! ❤️❤️

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora