XVII. Come combattere i giganti (Parte 2)

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Jecht, ancora riverso tra le braccia di Auron, con la testa appoggiata sulle sue gambe, aveva insistito per essere presente quando Braska avesse dovuto affrontare le ire del proprietario della bestia. Tuttavia, quando erano arrivati all'accampamento il suo corpo era ancora duramente provato e fu costretto a sdraiarsi sotto un albero nelle vicinanze.

Auron incrociò le braccia quando notò come il compagno si sforzasse di tenere alto il capo per guardare l'Invocatore, che si profondeva nelle sue più sincere scuse e offriva i propri poteri per curare l'animale.

Data anche la loro strana conversazione di poco prima, pensava che se Jecht si fosse visto con occhi che non erano i propri, forse si sarebbe reso conto dei propri errori.

Si avvicinò quindi al compagno con passo pesante, senza dichiarare le sue intenzioni.

«Ragazzo, che fai?» chiese Jecht con la bocca ancora impastata dalla terribile nottata.

Auron non rispose, ma si inginocchiò al suo fianco e rovistò nella borsa, per poi allontanarsi con una delle sfere in mano. La scrutò per qualche secondo come a volerne ricordare il funzionamento, poi la accese sotto gli occhi attoniti di Jecht che non aveva la forza di opporsi in alcun modo.

«Perchè mi stai riprendendo?» disse l'atleta, con voce stanca.

«Così non fai più niente di sconsiderato» rispose il monaco con tono di ammonizione. «Non riesco ancora a credere che tu abbia attaccato quello shoopuf. Braska ha dovuto pagare i danni di tasca propria».

Jecht annuì con la testa, portandosi la mano sulla fronte e inspirando a fondo nel tentativo di calmare lo stomaco in fiamme.

«Ti ho detto che mi dispiace...» rispose mortificato. «Non succederà mai più, lo prometto!»

Auron abbozzò un mezzo sorriso di scherno, del tutto disilluso sul valore della parola del compagno, che poche volte l'aveva mantenuta.

«Ah, una promessa? Te la dimenticherai domani».

Jecht abbassò lo sguardo senza dire nulla.

Braska, che aveva l'orecchio allenato alle chiacchiere del mercato, una volta pagato il proprietario dello shoopuf si avvicinò a Jecht. Si sporse verso i suoi due Guardiani e socchiuse gli occhi, assorto: quando parlò, sembrò rivolgersi alla sfera piuttosto che al monaco.

«Auron, per favore. Ha chiesto scusa. Sa che ha sbagliato».

Jecht, tuttavia, fece segno a Braska di fermarsi. Si alzò prima sui gomiti, poi sulle ginocchia e, con grande sofferenza, si rimise in piedi.

«E sia. L'unica cosa che berrò d'ora in poi sarà latte di shoopuf» dichiarò con fermezza.

«Ne sei sicuro?» chiese Braska, titubante.

«Stiamo viaggiando per sconfiggere Sin e salvare Spira, giusto? Se continuo a fare stupidaggini e mettermi in ridicolo...» Jecht si interruppe e guardò il Fluvilunio. I lunioli risalivano in superficie più raramente, di giorno. «Mia moglie e mio figlio non me lo perdoneranno mai».

In quella dichiarazione c'era una forza sincera che non si poteva ignorare.

«È registrato» commentò Auron, lasciandosi sfuggire un sorriso che sperava fosse interpretato come una smorfia.

Poi spense la sfera con una leggera pressione del dito e la restituì a Jecht. Braska sorrise lieto, infilando le mani nelle ampie maniche come usava fare quando era rilassato.

«Ora che tutto è sistemato, è tempo di attraversare il fiume» disse l'Invocatore con insolita allegria.

«Non proprio... hai dovuto sborsare parecchio» bofonchiò Jecht abbassando gli occhi. «Se avrò la possibilità di lavorare per farteli riavere, ti assicuro che lo farò».

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora