VIII. Molte sono le cose terribili

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Auron lo aveva guardato come si guarda qualcosa di cui si ha paura

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Auron lo aveva guardato come si guarda qualcosa di cui si ha paura. I suoi occhi erano fermi in quelli di Jecht, ma fissavano qualcosa che si trovava oltre.

«L'Inquisizione controlla che ciò che facciamo vada bene per la Chiesa di Yevon» aveva poi spiegato, con naturalezza. «Se desideri scrivere un libro, ad esempio, o parlare in pubblico. Si occupa anche di debellare le eresie e interrogare i prigionieri più pericolosi per Bevelle. Braska non ha rispettato i dettami ed è stato scomunicato, quindi ora va controllato».

Si era ravviato dietro l'orecchio una ciocca di capelli sfuggita al nastro che li legava.

«Ma che stai dicendo?» aveva sbottato Jecht, senza nemmeno pensare prima di pronunciare quelle parole.

All'improvviso, aveva compreso molte cose.

Perché in quel posto in cui si danzava con le ombre fossero così timorati di un dio che non li salvava.

«Qui a Bevelle noi facciamo così» aveva replicato Auron, con durezza.

«Non va bene!» si era trovato a gridare Jecht.

Guardava il liquido nel bicchiere, senza ricordare se era la quarta, quinta o sesta volta che lo riempiva. Aveva un gusto di anice a cui non era abituato, che allo stesso tempo lo inebriava e gli faceva storcere il naso per l'eccessiva dolcezza.

«Non va bene per niente!»

Auron aveva piantato la propria spada per terra, poi aveva guardato quella che aveva fatto costruire per Jecht, forse vergognandosi per il regalo.

«Non sei tu a decidere cosa va bene e cosa meno».

Jecht gli aveva mostrato i denti in una smorfia feroce.

«No» aveva commentato, «lo fa l'Inquisizione».

Non andava bene, l'isola in cui era finito. Era di continuo funestata da un orrore che per lui era ancora invisibile, era stretta nel pugno di un uomo che riteneva di poter dettare la legge del dio.

La testa gli girava tanto che dovette sorreggersi al muro ruvido e sporco di una casa. Trascinava i piedi con un mezzo sorriso, quasi confortato dall'essere un miserabile, un uomo vero in mezzo alla laccatura di quella realtà.

«Jecht».

Quello su cui era andato a sbattere era qualcosa di duro. Con fatica non indifferente alzò gli occhi, dimodoché non guardassero più i propri piedi callosi ma il viso del nuovo arrivato.

«Oh, bel ragazzo...» replicò, con voce strascicata e lamentosa. Si lasciò cadere tra le braccia di Auron, appoggiando la testa nell'incavo caldo tra il suo collo e la sua spalla, sentendosi al sicuro. «Non sarai mica venuto a cercarmi?»

Auron cercò di scuoterselo di dosso, ma dopo qualche debole tentativo desistette, forse pensando che sarebbe finito a terra se non lo avesse trattenuto.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora