XIX. Lamento per la città perduta

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Quella giornata sembrava non voler più finire agli occhi di Jecht

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Quella giornata sembrava non voler più finire agli occhi di Jecht. Dapprima era stato preoccupato, poi sempre più annoiato mentre assisteva al compagno d'armi che si allenava con colui che considerava un nemico.

Auron incassava colpo dopo colpo senza un lamento – e senza nemmeno fare progressi concreti, o almeno ciò gli era sembrato.

Non so niente di questa roba, si ripeteva di continuo, se ad Auron va bene così, deve avere qualche utilità.

Era il volere del monaco, ma vederlo ferito in continuazione lo faceva soffrire. Braska, seduto accanto a lui, teneva gli occhi fissi sul suo Guardiano apprezzando movimenti e azioni che Jecht non capiva, e quando non capiva perdeva interesse molto in fretta. Le smorfie di dolore di Auron, invece, erano molto chiare.

Alan sorrideva soddisfatto per ogni goccia di sangue versata dal monaco che, fallito miseramente ogni tentativo di colpire il Grande Inquisitore, prese a concentrarsi solo sull'individuare i lunioli intorno a lui, rendendolo un bersaglio divertente da stuzzicare.

Quando il cielo diventò bruno e la fresca brezza della sera fece rabbrividire la pelle, dopo le ripetute richieste di Braska di finirla lì, Auron non era che un pezzo di carne maltrattato. A Jecht era capitato molte volte di versare nelle stesse condizioni dopo estenuanti sessioni di allenamento, ma quello andava oltre l'esperienza di una vita nella sfera d'acqua.

L'atleta potè finalmente frapporsi tra i duellanti e mettere il braccio armato del compagno dietro il suo collo, sollevandolo quanto bastava per condurlo via.

«Jecht, portalo alla tenda e aiutalo come puoi. Le ferite sono sanate, ma il suo vigore è stato del tutto consumato» disse Braska con un sorriso tirato.

«E tu?» domandò cupo il Guardiano, che venne poi avvicinato da Alan con fare teatrale.

«Non temere, uomo di Zanarkand. Voglio solo parlare con mio fratello» disse enfatizzando l'ultima parola. «Mi sono divertito abbastanza per oggi. Il tuo compagno ha una tempra invidiabile, vero?»

Jecht incassò la provocazione, ma non replicò. Dopotutto aveva ragione, in più Auron era assente e privo di forze: non poteva indugiare.

«Ti aspettiamo, allora. A lui ci penso io».

Jecht serrò la presa sul corpo martoriato del giovane e lo incoraggiò a tenersi in piedi, ma il peso di Auron lo costringeva a fermarsi spesso.

«Sei un maledetto testardo» disse Jecht a bassa voce, sicuro che il monaco non avrebbe risposto. «Potevi fermarti prima e non ridurti così».

«...tu lo avresti fatto? Davanti a lui?» replicò l'altro a denti stretti, e Jecht sospirò infastidito.

«Rimani comunque un testardo. Hai almeno trovato ciò che cercavi in questo massacro?»

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora