XXIII. Ysuna seu

40 5 22
                                    

«Che cosa ci fai qui?» lo raggiunse l'impietosa voce di Auron, rotta da un'insolita nota di debolezza

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

«Che cosa ci fai qui?» lo raggiunse l'impietosa voce di Auron, rotta da un'insolita nota di debolezza.

Jecht socchiuse gli occhi al bagliore del mattino, che lo trovò rannicchiato su una sedia di legno. Si sentì come se quella notte scomoda gli avesse scombinato la disposizione delle ossa e anche quella dei pensieri, quando alzò lo sguardo sul ragazzo.

Non poteva che invidiare chi, anche dopo una notte del genere, manteneva la bellezza algida e inviolata dei pianeti. La bocca di Auron era incurvata nella sua consueta espressione ostile, i capelli ricadevano sciolti su una spalla.

L'unico indizio di ciò che aveva trascorso era chiuso nella gabbia delle ciglia, strette per non far passare la luce.

«Che cosa ci faccio qui?» esordì Jecht, animato da una rabbia improvvisa e certo di poter, per una volta, avere la meglio. «Chi pensi che ti abbia riportato in camera stanotte?»

Auron mascherò la propria confusione con un'occhiata crudele. Sarebbe stata sufficiente quella come invito a uscire, dalla sua porta e dalla sua vita, ma Jecht non voleva desistere. Non ora che...

«Di certo non te l'ho chiesto io».

Jecht fece per alzarsi, poi cambiò idea e strisciò i piedi nella polvere. Per un istante gli balenò in mente la follia di raccontargli, con dovizia di particolari, cosa era successo la notte precedente, dato che non lo ricordava o fingeva di non farlo.

Ma a cosa servirebbe?

«La sai una cosa?» gli domandò, guardandolo dritto negli occhi. «Hai bevuto troppo e non sarò di certo io a farti la predica. Non mi aspettavo nemmeno che il sole sorgesse su un "grazie, Jecht" o un "oh, Jecht, raccontami che cosa è successo". Non l'ho fatto per avere la tua gratitudine, ma perché era la cosa giusta. Ho solo sperato per un attimo che non mi avresti trattato come fai di solito».

Il suo monologo cadde nel silenzio. Jecht si alzò e si diresse verso la porta, soffocando qualsiasi emozione, ma all'ultimo istante cedette.

«La prossima volta, lascerò che tu svenga e che un Ochu ti mangi».

Il corridoio del piccolo monastero di Djose era silenzioso, come al solito: solo una preghiera distante si innalzava verso le nuvole del nuovo giorno. La voce di Auron la sovrastò senza difficoltà, e lo spinse a voltarsi.

«Sì, ma io non so in che altro modo trattarti».

Lo stomaco di Jecht si strinse in una furia cieca e le sue gambe lo spinsero ad allontanarsi il prima possibile da lui e dalle sue provocazioni.

Solo quel pomeriggio capì che il monaco non aveva detto altro che la verità.

Avevano attraversato la nuova Via Djose, ricostruita di recente dopo un attacco di Sin. Con gesti ormai meccanici uccidevano i mostri e lasciavano che Braska, ostinatamente devoto, danzasse per ognuno di loro il Rito del Trapasso.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora