Il mattino successivo, Auron sembrava nervoso. Mentre proseguivano attraverso la campagna, si guardava ripetutamente attorno, come qualcuno che avesse nascosto un cadavere sotto al letto. Trasalì quando Jecht gli si avvicinò.
«Che succede, ragazzo?» esordì lui. Fece per posare con fare teatrale una mano sulla spalla del compagno, ma cambiò idea e sospese il gesto a metà, per poi terminarlo sulla corteccia di uno degli alberi che punteggiavano radi la pianura. «Dormito male?»
Auron voltò lo sguardo ansioso verso Braska, che osservava assorto un rigagnolo che scorreva a pochi passi di distanza da loro.
«No» replicò, laconico, e aggirò Jecht per continuare a camminare.
«Ehi!» chiamò l'atleta, ma l'altro non si voltò. Una preoccupazione irrazionale gli strinse lo stomaco, tagliente come una lama sottile e forte come un cavo d'acciaio. Temette di aver, senza accorgersene, fatto qualcosa di sgradito ad Auron o, ancora peggio, aver detto qualcosa di fraintendibile mentre dormiva. Nessuno gli aveva mai detto che parlava nel sonno, ma forse glielo avevano sempre tenuto nascosto, o forse era una conseguenza dello stress di trovarsi su Spira.
«Auron» disse di nuovo, odiando il proprio tono petulante come quello di una ragazzina. Gli si avvicinò, ma lui non diede segno di volersi voltare. «Senti, ho fatto qualcosa che non andava? Se è così dimmelo, perché non-».
«Non sei il centro del mondo, Jecht» lo stroncò la voce del monaco, che si era spostato di scatto per evitare di essere toccato. «Tantomeno del mio. Le mie reazioni non sono sempre dovute a qualcosa che fai tu».
Jecht si limitò a boccheggiare in cerca d'aria, con il gelo che gli si insinuava nel cuore. Capì di esserci cascato di nuovo, di averlo idealizzato e aver pensato a un'amicizia, una confidenza che non c'era. E gli capitava sempre così con gli uomini: tendevano a monopolizzare i suoi pensieri e a fargli immaginare situazioni che poi non si realizzavano. Per quello in genere, dopo lunghe epopee mentali che nella realtà duravano qualche settimana, li lasciava perdere. Con Auron però era costretto a viaggiare, e doveva vederlo ogni giorno.
Sei una condanna, pensò con disprezzo mentre stringeva i denti. Arrestò la sua marcia e incrociò le braccia. Ruotò il busto in varie direzioni, indeciso su cosa fare. Desiderò con forza di avere un pallone – oppure il muso perennemente accigliato del monaco – da calciare.
Auron non avvertì più il passo di Jecht e si voltò, non per preoccupazione, ma per capire cosa aveva interrotto il viaggio. Incrociò gli occhi stretti del compagno, che giuravano di incenerirlo con un semplice battito di ciglia.
«Ora cosa c'è?» chiese esasperato Auron.
Jecht, ancora una volta ripreso, decise che ne aveva avuto abbastanza.
«Dove non tagli con la spada lo fai con le parole, Auron?» replicò con tono calmo. «Anche con i tuoi alleati?»
«Non credo di aver bisogno di sentire una morale proprio da te».
«Allora sai cosa? Vai in malora».
Il campione di blitzball si voltò, gli diede le spalle e cominciò a camminare nella direzione opposta. Auron sospirò e volse gli occhi al cielo, ricordando com'era andata a finire l'ultima volta in cui Jecht si era allontanato per un motivo simile.
«Che succede?» lo raggiunse la voce di Braska. Nel vedere uno dei suoi Guardiani che si allontanava, si limitò a inarcare le sopracciglia. «... oh. Dove va?»
Auron gli si avvicinò, infervorato.
«Lui non capisce! Continua a fare come gli pare!»
L'Invocatore portò la mano sul mento, osservando a intervalli regolari prima il monaco, poi l'uomo di Zanarkand.
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La caduta dell'ombra (FFX)
Fanfiction«Allora la mia città vivrebbe, alte come il volo d'airone le sue guglie, fertile come ventre di donna la sua piazza». Questa è la loro storia. Nel continente di Spira, da secoli l'ira di una divinità si traduce in un mostro marino in grado di rader...