XXV. Lì sono i campi della speranza (Parte 2)

22 3 6
                                    

«Ti prego, apri!»

Jecht batteva con forza il palmo aperto sulla porta di Braska. Non appena si era reso conto che Auron era andato via e non tornava, si era vestito velocemente come nelle notti della sua giovinezza in cui consumava rapporti fugaci, senza significato.

Fa' che non l'abbiano preso. Fa' che non fossero loro, pensò, senza smettere di bussare.

Trasse un respiro profondo e fece scivolare il palmo sul legno lucido. Non aveva idea del perché l'Inquisizione avrebbe dovuto arrestare Auron e non lui, ma era sicuro che se fossero arrivati il suo compagno li avrebbe seguiti senza un lamento, a capo chino e con solo una smorfia in viso. E infatti lui non lo aveva sentito chiamare aiuto.

«Braska...» implorò a mezza voce, cercando di impedire all'ansia di aggredirgli le viscere.

Quando alzò il braccio, vide la porta aprirsi e il compagno apparire, incorniciato dagli stipiti e immerso nel ticchettio leggero di un orologio.

«Auron... vero?» chiese l'Invocatore, stanco. Poi abbassò la testa e la scosse, come se si stesse incolpando di qualcosa. «Avevo sentito dei rumori. Sarei dovuto uscire a controllare».

Non è colpa tua, stava per dirgli Jecht. Poi si ricordò di tutte le volte in cui era stato lui a scomparire nel nulla. Anche la sua assenza lo aveva fatto sentire in quel modo?

«Come lo ritroviamo?» chiese, mordendosi l'interno della guancia. «Non ho davvero idea di cosa fare. Io... sono io che avrei dovuto seguirlo».

Braska diresse gli occhi verso le pareti del corridoio, decorate con un motivo a linee curve che veniva illuminato dalla luce aranciata delle lampade. Sul suo viso apparve un inaspettato sorriso.

«Lascia che ti dica una cosa, Jecht,» replicò. «Se ti metterai a cercarlo anche solo con metà della cura e dell'apprensione con cui Auron ha sempre cercato te, allora lo troveremo molto prima dell'alba».

Dalle labbra dell'atleta, che era rimasto impietrito con lo sguardo fisso davanti a sé, uscì un involontario gemito di sorpresa.

Poi tornò in sé, strinse i pugni e indicò le scale con un cenno del capo.

«Andiamo».

Mentre scendevano in silenzio, controllarono se ci fosse qualcuno ancora sveglio a cui chiedere informazioni; tuttavia, Rin sembrava essere andato a dormire, come tutti i suoi ospiti.

«Gli uomini di tuo fratello...» chiese Jecht in un sussurro, guardandosi attorno nella sala deserta, «potrebbero essere stati loro?»

Braska fece schioccare la lingua.

«È andato a Luka,» mormorò, per poi stringere le mani sullo scettro. «Tra dieci giorni c'è il torneo di Blitzball annuale, a cui presenziano tutti i vertici di Yevon. Credimi se ti dico che Alan ha cose più importanti di noi a cui pensare».

Uscirono dalla Casa del Viante e si immersero nell'umidità della notte. Braska lanciò un'ultima occhiata verso l'edificio, per verificare che gli scuri di tutte le stanze fossero chiusi, poi impugnò lo scettro con entrambe le mani e mormorò una preghiera.

Una luce elettrica lo avvolse, formò due sfere concentriche e infine svanì. Lui diresse l'arma verso un portale scoppiettante che si era aperto nel centro del cielo, e la punta dell'asta fu collegata da un fulmine sottile a qualcosa che si trovava oltre.

Di Ixion Jecht vide prima il corno dorato, poi gli zoccoli e le froge che soffiavano fumo.

La creatura agitò la criniera e guardò il suo Invocatore, in attesa di indicazioni. Jecht a sua volta fissò lo sguardo su Ixion e un brivido gli percorse la schiena. Ricordava la sua forza, luminosa come i lampi che spaccano il cielo. Lo scontro che avevano avuto era ancora vivido nella sua mente, e temette di prendere la scossa se lo avesse toccato.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora