XXXVIII. Viva il re!

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La superficie calma del mare rifletteva le luci di Luka in modo ipnotico, sfumando il confine tra acqua e cielo e dando l'impressione di venire inghiottiti dal mondo

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La superficie calma del mare rifletteva le luci di Luka in modo ipnotico, sfumando il confine tra acqua e cielo e dando l'impressione di venire inghiottiti dal mondo.

Jecht amava profondamente le sensazioni che una tale vista gli scatenava sottopelle: le sue azioni, la sua stessa persona erano insignificanti dinanzi a quel vuoto che tutto avvolgeva, e questo gli donava un sollievo che non avrebbe saputo nemmeno spiegare. Aveva aspettato che Braska e Auron si coricassero, per poi uscire sul ponte del peschereccio per godersi lo spettacolo.

Certe sensazioni le provava solo di notte. L'atleta respirò a pieni polmoni l'aria salmastra per calmare l'ansia accumulata e stiracchiò le gambe. Si sentiva stanco, molto stanco. Accusò il bruciore dei muscoli e, dopo tanto tempo, si chiese perché darsi pena in tal modo.

Lui era uno straniero in quella terra, e il fatto che il giudice Alan – uomo odioso, certo, ma pur sempre fuori dalla sua vita – si fosse proclamato capo dei capi non avrebbe dovuto angosciarlo. Una volta tornato alla sua Zanarkand, tutto quel dolore e tutte quelle ingiustizie sarebbero spariti per sempre.

Eppure, stava imparando a conoscere e a voler bene a quella Spira che uccideva, al suo popolo così spaventato dalla distruzione perpetrata dalla balena e dal fuoco delle pire di Alan, e a quell'anima pia di Braska che voleva portare un po' di serenità. Soprattutto, stava imparando come legarsi a quel giovane monaco che si faceva del male, maledicendosi ogni giorno per qualcosa che non aveva potuto scegliere; che nessuno di loro aveva potuto scegliere.

Avrebbe dovuto immischiarsi così tanto nelle loro faccende? Ormai ne era immerso fino alle caviglie, impossibile tornare indietro. Dopotutto, poco importava come sarebbe finita quella storia: in un modo o nell'altro, strappato da Zanarkand o riaccolto tra le sue braccia, avrebbe comunque sofferto, per la sua città perduta o per le persone che avrebbe lasciato da quella parte del mondo.

Il desiderio di bere un bicchierino si fece preponderante nella sua mente: non c'era modo migliore dell'alcool per annegare i pensieri, anche perché i passi pesanti di Auron che saliva verso il ponte erano il preludio di qualche discussione che Jecht non era affatto sicuro di poter sostenere.

Il monaco, una volta all'aria aperta, si guardò intorno con gli occhi socchiusi e l'espressione di chi ne aveva avuto abbastanza per quel giorno.

«Che diavolo fai qui fuori?» disse Auron a denti stretti.

Jecht si sistemò in modo più composto sul legno sporco di quella bagnarola, cercando anche di sorridere, ma il compagno sembrava davvero infastidito.

«Avevo bisogno di prendere un po' d'aria. Mi cercavi?»

«Non avrei avuto bisogno di farlo se tu fossi tornato per tempo! Ti ho sentito uscire, ma non rientravi più,» rispose acido il giovane Guardiano. «Se tu fossi caduto in acqua, ti avrei lasciato lì a mollo! Che stai facendo? Fissi il mare come una donzella pensierosa?»

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora