Auron annuì. Non avendo altra scelta, i due si guardarono intorno, individuando uno dei tanti uomini in nero che tartassavano i cittadini. Dopotutto, non avevano niente da temere da parte loro, e trovare Alan era la priorità. Auron avvicinò con cautela un prete di Yevon, per poi presentarsi con la riverenza.
«Siamo i Guardiani dell'Invocatore Braska. Abbiamo saputo che il Grande Inquisitore lo sta cercando, proprio come stiamo facendo noi. Dobbiamo raggiungere il Maestro il prima possibile».
Il sacerdote gli rivolse un sorriso enigmatico, in cui Auron riuscì solo a leggere un certo sollievo.
«Sia ringraziato Yevon. Stavano cercando anche voi,» disse, asciugandosi la fronte con la mano. «Il Grande Inquisitore dovrebbe trovarsi nei pressi dello stadio, ma non saprei dirvi dove con esattezza. Fate in fretta».
Tornarono quindi indietro, facendosi spazio tra la calca e cercando di non perdersi di vista.
Il sacerdote non aveva dato indicazioni certe, così Jecht indicò ad Auron una catasta di merci in uno dei moli. Con l'aiuto del compagno, riuscì a scalarla per guardare intorno da un punto sopraelevato. Sorvolò con la mente, come uno di quei Condor che preannunciavano la morte in mare, le strade della città. Ma non era tanto in alto quanto un uccello, e dalla cassa su cui s'era appollaiato vedeva solo a una maggiore distanza rispetto ad Auron che era rimasto a terra.
Affondò i denti sul labbro inferiore, in un punto che aveva già morso e che gli restituì in cambio un leggero sapore ferroso. Sperò con tutto sé che Alan non si fosse tolto i paramenti o che fosse accompagnato da qualche guardia Ronso, altrimenti sarebbe stato impossibile individuarlo tra la folla.
Lo vide, con i suoi abiti appariscenti sollevati dal vento, che guardava verso il teatro come se stesse ammirando la tela più importante di un'esposizione. Sembrava che la sua contemplazione avrebbe potuto in ogni momento trasformarsi in violenza.
«Auron!» gridò. «L'ho trovato!»
I due Guardiani corsero per le vie fino a percorrere un ponte sull'acqua, diretti verso un edificio dalla forma allungata che somigliava in un certo qual modo a un'aeronave. L'architetto, forse affascinato dalle macchine volanti degli Al Bhed, aveva fatto sì che la struttura principale, un tronco di cono rovesciato su cui si aprivano dei piccoli archi, fosse racchiusa da una seconda, in pietra liscia, che si allungava verso la città in una curva leggera. Era una forma diversa dal semicerchio che decorava le spalle di Alan, e quella discrepanza nell'estetica sembrava sottolineare la differenza di pensiero tra Luka e Bevelle.
Auron, senza volerlo, rallentava progressivamente nell'avvicinarsi a quel luogo, come se fosse stato immerso fino al polpaccio in un liquido viscoso. Guardò Jecht, e notò che sembrava essere nella stessa condizione. Guardò di nuovo Alan, che dava loro la schiena, e vide che sopra al gomito aveva un tatuaggio che non ricordava. Un semplice glifo nero, il simbolo di Behemot e della luce.
Io sono la luce del mondo.
«Alan!» ebbe il coraggio di chiamare la voce di Jecht, mentre lui era ancora perso nel timore e nel ricordo del giorno in cui il fratello di Braska aveva preso il suo trono.
L'Inquisitore, che stringeva il giavellotto nella mano sinistra, si voltò di scatto nel sentir pronunciare il proprio nome in maniera tanto autoritaria. Quando vide i due, il suo sguardo non si addolcì, ma la presa sull'asta si fece meno ferma.
«Ah,» commentò, accompagnando quel monosillabo con un'alzata di sopracciglia. «Alla buon'ora».
Auron si mise sull'attenti e cominciò un goffo tentativo di giustificare la propria mancanza, tormentato dall'immagine confusa di ciò che era successo solo qualche minuto prima:
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La caduta dell'ombra (FFX)
Fanfiction«Allora la mia città vivrebbe, alte come il volo d'airone le sue guglie, fertile come ventre di donna la sua piazza». Questa è la loro storia. Nel continente di Spira, da secoli l'ira di una divinità si traduce in un mostro marino in grado di rader...