XXXV. Quelle polveri (Parte 2)

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Jecht era stato ricoverato più di una volta nel grande ospedale di Zanarkand: per una sbronza peggiore delle altre, o la solita malandata gamba che diventava spesso il bersaglio preferito dei difensori.

Il dolore è dolore, pensava l'atleta, ma nonostante il posto in cui si trovava fosse fatiscente e avesse solo il minimo indispensabile per ospitare dei feriti, gli abitanti di Spira tendevano a lamentarsi poco e sopportare con fiera dignità.

Nelle sue brevi e lunghe degenze, servito come un re in quanto campione di blitzball, non faceva che lagnarsi per qualunque cosa con fare sgraziato e arrogante.

Jecht guardò se stesso nel passato e rabbrividì: non si aspettava di certo di naufragare in un altro mondo e vivere una follia dopo l'altra, ma si trovò contento di essere cambiato così tanto, di aver trovato quell'umiltà che faceva finta di cercare a Zanarkand.

A Spira la morte era di casa, e sicuramente era un'insegnante eccellente per imparare a comportarsi.

Lo sapeva bene Braska che, nonostante il novero dei suoi lutti, si era immolato al macabro altare di quel mondo per regalare qualche anno sereno al popolo e a sua figlia dalla minaccia di Sin.

Sembrava danzare tra un ferito e l'altro per fornire le sue magie di cura, alleviando il dolore e salvando vite. Jecht sorrise: non aveva mai incontrato nessuno che gli infondesse una tale calma con la sua sola presenza.

L'Invocatore scorse l'atleta verso la fine del corridoio e lo salutò con la sua consueta dolcezza, ma Jecht notò subito il volto teso del compagno e lo raggiunse per fornire supporto.

«Non ti fermi mai tu, vero?» disse Jecht, accarezzandogli la spalla.

Braska si prese qualche istante per drizzare la schiena, provato dallo stare molte ore al capezzale dei feriti.

«Eppure sembra non essere mai abbastanza,» rispose l'Invocatore con tono amaro.

«Sei troppo duro con te stesso. Auron ti rimproverebbe se ti sentisse dire queste cose,» disse Jecht, incrociando le braccia.

Braska abbozzò un sorriso tirato, e si grattò la testa con fare agitato.

«Hai ragione, amico mio. Immagino che Auron ci raggiunga tra poco».

L'atleta annuì, ma non poteva fare a meno di notare l'atteggiamento schivo dell'Invocatore che, per qualche ragione, continuava a voltarsi verso l'entrata.

«Braska, va tutto bene? Che succede?»

Lui sospirò, premendosi gli occhi con le dita per alleviare il mal di testa che lo tormentava dalla notte precedente.

«Hai visto le luci stanotte?»

Jecht fece finta di pensarci per non far trapelare la scintilla di eccitazione nel ricordare i baci di fuoco del monaco.

«Non mi pare, ero molto stanco».

«In città, dei rivoltosi stanno appiccando le fiamme ovunque. Dicono siano stati gli Al Bhed,» spiegò Braska con un filo di voce.

Jecht comprese tutto senza bisogno di ulteriori chiarimenti: un popolo orgoglioso come il loro doveva avere indietro il capo per cui si erano tanto battuti.

«Alan si sarà precipitato da Cid, immagino,» disse Jecht grattandosi la barba.

Braska annuì, asciugandosi la fronte imperlata di sudore con un fazzoletto.

«Sono preoccupato per mio fratello e per il popolo di mia moglie. Temo possa succedere l'irreparabile».

Quando una figura si palesò alla porta d'entrata, Braska drizzò subito la schiena nella speranza di vedere Alan, speranza che fu subito soppressa nel vedere Kelk Ronso avvicinarsi a loro con aria enigmatica.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora