XI. Colui che apre tutti gli occhi

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«Dobbiamo proprio?» chiese Jecht, a disagio

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«Dobbiamo proprio?» chiese Jecht, a disagio.

«Secondo te, possiamo rifiutare una richiesta simile? Non sei stupido, lo sai» rispose Auron, nervoso.

Jecht sospirò sconsolato. Non era passata che qualche ora dallo scontro verbale tra il monaco e il Grande Inquisitore, eppure quell'invito era arrivato come se non fosse successo nulla. Interazioni di quel tipo, fondate su bugie, non erano estranee all'atleta, ma proprio per quel motivo non riusciva a mantenere la calma: gli sembrò di essere tornato a Zanarkand.

«Non possiamo tirarci indietro, amici miei. Alan sa bene come gestire certe situazioni, non infierirà certo. In più, un bel pasto abbondante non ci farà male» disse Braska.

Poi frugò tra le pieghe della sua tunica e ne estrasse due sigari che, anche agli occhi poco esperti di Auron e Jecht, sembravano molto pregiati.

«Tenete» li invitò con un sorriso angelico. «Io non posso fumare, ma sono di sicuro molto buoni».

«Braska... dove li ha trovati?» chiese la sospettosa voce di Auron. La sua mano quasi si scontrò con quella di Jecht che era scattata sul sigaro come un'aquila sulla preda.

L'idea di godere di un banchetto aveva rincuorato l'atleta, ma non abbastanza: forse avrebbe potuto tornargli utile il supporto del tabacco. Il Grande Inquisitore aveva invitato lui e i suoi compagni a mangiare alla sua stessa tavola, in compagnia dei generali: non un'allegra brigata, abituato com'era alle serate alcoliche con i suoi compagni di squadra.

L'Invocatore non soddisfò la curiosità di Auron e si sedette su un piccolo sgabello pieghevole.

La tenda che usavano per riposare non era molto spaziosa, ma era abbastanza per tre persone. Dopo l'aspro diverbio, Auron aveva suggerito con particolare sentimento di sistemarsi ai limiti dell'accampamento, non troppo lontano dalla vegetazione. Spesso guardava la foresta con aria afflitta: il desiderio di fuggire tra le fronde era forte.

Tuttavia, non c'era rifugio che potesse accoglierli. Tutto ciò che potevano fare era spazzolarsi i capelli, pulire le vesti e pensare al cibo. Se per Braska e Jecht la prima attività non era difficoltosa, per Auron era questione di molti minuti.

Jecht ebbe l'improvvisa voglia di aiutarlo, ma non trovò il coraggio di fare una simile richiesta: si avvicinò, invece, per cercare il dialogo e soddisfare le sue domande.

«Ehi, ragazzo» esordì timidamente, dopo qualche secondo in cui era riuscito solo a tenere lo sguardo fisso sui suoi capelli neri come l'inchiostro.

«Cosa?»

«Potresti spiegarmi cosa hai visto sulla mappa?» disse sedendosi davanti a lui.

«Perché lo vuoi sapere?» chiese Auron infastidito.

«Perché voglio capire che succede. Tanto ne abbiamo di tempo, hai i capelli tutti annodati».

Il monaco osservò amareggiato la sua chioma sciolta sulla spalla, per poi sospirare e mettere da parte il pettine. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che Jecht non riuscì a cogliere: Braska si avvicinò interessato, porgendogli il sacchetto contenente i gil, le monete di rame di Spira.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora