La bianca casa dal tetto a pagoda dell'Invocatore Braska era circondata da rovi di rose che si arrampicavano fin sopra il porticato. La primavera era troppo prematura perché fossero già in boccio, ma Auron si rese conto che il voler essere circondato da fiori era un indizio su chi fosse quell'uomo, molto più rivelatore delle espressioni che gli aveva visto dipinte in volto.
Il giovane monaco non aveva ricevuto nessuna indicazione su come o quando presentarsi a casa di Braska. Tutto ciò che possedeva era una larga foglia di cavolo dove l'indirizzo era stato tracciato con un carboncino ormai sbavato, e un sacchetto contenente dei pasticcini alle mandorle.
Si chiese per l'ennesima volta se il pomeriggio inoltrato fosse un buon momento per andare a trovare qualcuno, poi deglutì per inghiottire la paura e si avvicinò al campanello.
Oltre alla ringhiera arricciata in ferro battuto, e oltre la siepe che nascondeva con discrezione alla vista il giardino, qualcosa si mosse attirato dal suono.
Auron, impacciato e curioso, spostò lo sguardo verso il basso e incontrò gli occhioni spalancati di una bambina, grandi come quelli di un cerbiatto che fissa il mondo al limitare del bosco. Nonostante il sole stesse declinando, e la luce aranciata mescolasse i colori, si riusciva a distinguere con chiarezza che le sue iridi erano una azzurra e una verde.
Forse, quindi, erano per lei le rose.
«Ciao» provò a dire Auron con un mezzo sorriso, sperando di non sembrare spaventoso. Non aveva mai avuto a che fare con dei bambini, negli ultimi anni.
La piccola sussultò e si nascose meglio che poteva all'interno degli arbusti. Non era scappata, e i suoi scompigliati capelli castani erano ben visibili, ma Auron fece finta di non accorgersene e guardò altrove.
Quando la porta della casa si aprì, la bimba schizzò verso la figura che stava uscendo.
«Papà, papà!» gridò. Braska si chinò su di lei con un'espressione dolce, poi le disse qualcosa con gli stessi modi cortesi che usava con gli adulti. Lei gli si avvicinò ancora di più, fino a sussurrargli qualcosa all'orecchio.
«Il signore è un amico di papà» le spiegò il sacerdote, rivolgendosi verso Auron. Gli fece cenno di entrare e di raggiungerli attraverso il vialetto di ciottoli bianchi.
Auron aprì il cancello e, quando lo richiuse dietro di sé, volse il viso per un istante al tramonto tiepido. Braska intanto aveva preso in braccio la sua bambina, che continuava a guardarlo con tanto d'occhi.
«Ciao» riprovò a salutare, ma lei si strinse con timidezza al petto del padre, abbassando la testa sulla sua tunica azzurra. Auron allora ci rinunciò e si rivolse all'Invocatore. «Buonasera, Braska, spero di non disturbarla».
«No» rispose lui, sereno. «Ti stavo aspettando. Yuna, sii educata, saluta Auron».
A quell'invito, la bambina cedette e mormorò un flebile ciao. L'uomo poi la posò a terra e la invitò a rientrare in casa: sembrava un po' affaticato per averla sollevata, ma cercò di dissimulare la sua smorfia con un sorriso.
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La caduta dell'ombra (FFX)
Fanfiction«Allora la mia città vivrebbe, alte come il volo d'airone le sue guglie, fertile come ventre di donna la sua piazza». Questa è la loro storia. Nel continente di Spira, da secoli l'ira di una divinità si traduce in un mostro marino in grado di rader...