XII. Libertà

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Il muggito dei corni squarciò l'aria immobile così come il sole nascente tagliava le nubi

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Il muggito dei corni squarciò l'aria immobile così come il sole nascente tagliava le nubi. Il colore del cielo era una profezia di sangue venturo.

Auron spostò lo sguardo verso Jecht: il suo compagno di viaggio non aveva dormito, quella notte, lo aveva sentito dai suoi respiri irregolari che si intervallavano a faticosi sospiri. Lui stesso non era riuscito ad abbandonarsi al sonno: aveva meditato, sentendo lontana e irriconoscibile la voce di Yevon, cercando di cancellare la propria presenza dal mondo.

Ma al posto dello stato di grazia che aveva desiderato erano giunte le domande, i dubbi sulla virtù delle proprie azioni, il suo cercare il dio in luoghi dove forse non avrebbe dovuto nemmeno essere pronunciato il suo nome. Come poteva esserci una santa guerra o una santa distruzione? Non avrebbero dovuto piuttosto accettare la punizione di Yevon e piegarsi senza combattere al flagello che veniva dal mare? Esisteva, ne era sicuro, una santa morte.

Auron si posò sulle ginocchia la spada: era più pesante del solito. Attirato dal rumore di ornamenti di ferro che, mossi dal vento, tintinnavano l'uno contro l'altro, sollevò gli occhi verso le insegne. Le portavano due uomini con mantelli rossi, e su ognuna di esse spiccava il simbolo dell'Inquisizione, cosicché in ogni momento i soldati potessero sapere dov'era chi li guidava.

Alan incontrò e sostenne il suo sguardo. Al centro dei suoi uomini, circondato da quella stessa aura di sacralità che disprezzava, stava parlando con Braska. Poche posizioni oltre, un ragazzo di neanche diciott'anni stringeva uno scudo a torre troppo pesante per lui, la testa nascosta da un elmo troppo grande.

Auron guardò avanti, oltre la selva di lance, quando i corni squillarono una seconda volta: due segnali brevi e uno lungo annunciavano che il nemico stava arrivando.

La superficie del lago era increspata come se ribollisse di vita propria. I guerrieri giurarono di aver visto il dorso della balena fare capolino alla luce del sole, per poi immergersi di nuovo nelle profondità.

All'improvviso, l'acqua già mossa divenne un turbinio agitato dal quale si poteva udire un ronzio acutissimo. Dal lago, come da un nido di vespe, emersero centinaia di Scaglie di Sin.

Come gli insetti avevano le ali, ritte e forti sulla schiena scanalata, ma quattro zampe chitinose tenevano i loro corpi in equilibrio sul terreno ghiacciato. Le loro fauci orrende si aprivano in una morsa che prometteva l'aspra morte; non vedevano con occhi ma con scaglie attorno al capo.

«Ma che diavolo...» esclamò Jecht trattenendo un singulto.

Nel silenzio, si innalzò l'urlo fiero di un uomo: un soldato che reggeva il simbolo dell'occhio di Yevon piantato su un'asta corse contro il nemico a spada sguainata. Immediatamente fu supportato dagli scudi degli altri.

Auron si guardò intorno, spaesato nell'assistere con i propri occhi a una scena che aveva solo studiato nei libri.

Le Scaglie di Sin si scontrarono con i soldati come due cervi che s'incornano l'un l'altro. I fanti le respingevano con l'impatto terribile dei loro scudi, le rimandavano indietro e venivano a loro volta colpiti. Nella piana dove già erano scesi in migliaia, Auron vide strani arti frustare gli elmi e far tentennare i soldati, schizzi di sangue mischiarsi ai lunioli leggeri.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora