«Allora la mia città vivrebbe,
alte come il volo d'airone
le sue guglie,
fertile come ventre
di donna la sua piazza».
Questa è la loro storia.
Nel continente di Spira, da secoli l'ira di una divinità si traduce in un mostro marino in grado di rader...
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Auron, dopo essere stato spogliato delle sue armi, fu portato in una camera privata del Palazzo di Giustizia, adiacente a una cappella, poiché così prevedevano i riti. Un Templare gli aprì la porta, e lui fu soggiogato dall'occhio di Yevon dipinto sul muro rossastro.
Direttamente sotto la pupilla, uno specchio rettangolare gli restituiva l'immagine di Alan, seduto su una sedia di legno ornato, che gli dava le spalle. Indossava solo un paio di pantaloni scuri e un rosario nero gli cingeva il collo, ricadendo sul petto nudo. Alzò il capo velato, senza voltarsi, e Auron costrinse il proprio sguardo a non soffermarsi sul suo corpo. Osservò la sua scorta mostrargli la spada che lui stesso aveva consegnato, gesto a cui il giudice rispose con un cenno della mano.
La tensione era insopportabile. Anche senza guardarlo, forse Alan avrebbe capito tutto. Forse già sapeva, ed era quello il motivo per cui lo aveva convocato.
Auron eseguì il saluto yevonita in segno di rispetto, poi si forzò a muovere qualche passo all'interno della stanza, ma fu fermato dalla voce autoritaria dell'Inquisitore.
«All'inguine».
Auron si immobilizzò.
«S-scusi?» mormorò, con lo sguardo che tornava sulle sue spalle, indagando le pieghe del velo nero, più lungo di quello che indossava di solito. Era sempre stato così magro, anche il giorno in cui lo aveva sconfitto più e più volte sulla strada per Djose?
«Hai un pugnale legato all'altezza dell'inguine, sotto i vestiti,» continuò il giudice, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Sempre senza voltarsi, alzò una mano come a voler afferrare qualcosa. Auron non ricordava di averlo mai visto senza guanti. Avrebbe notato i vistosi anelli che portava, tre per ogni mano: d'argento la destra e d'oro la sinistra. «Vuoi darmelo tu, così evitiamo l'imbarazzo di farti perquisire?»
Auron deglutì a fatica, con il cuore che accelerava i battiti, come a volergli ordinare di combattere o fuggire.
«...sì». Slegò il pugnale, poi si avvicinò alle spalle di Alan e glielo porse. Le sue dita si strinsero immediatamente sul fodero. «Non... non intendevo nasconderlo, signore. Sono sincero, avevo dimenticato che fosse lì. Come ha fatto a capirlo?»
Alan avvicinò a sé un posacenere in vetro lavorato e rise in modo quasi bonario.
«So qual è l'equipaggiamento dei Templari. Il pugnale pensato per suicidarvi, in modo da evitare il disonore di una morte con dolore...» Lo specchio rimandò l'immagine del giudice che abbassava lo sguardo per osservare l'arma. Poi l'appoggiò al tavolo, la lama allineata con il bordo. «C'è anche stato chi l'ha usato in modo più saggio».
«Non era mia intenzione, signore».
«Ti credo, ti credo. Orbene,» Alan fece leva con entrambe le braccia sullo schienale della sedia e rivolse finalmente il viso ad Auron. «Ti hanno informato sul rito che devi svolgere?»