Nonostante la notte promettesse temperature gradevoli, Jecht era tormentato da brividi gelidi che gli impedivano il sonno. Raggomitolato sotto la sua coperta, strinse i denti esausto e venne a capo del fatto che no, quel freddo non veniva dal mare, ma lo aveva dentro.
Si chiese se, malauguratamente, non avesse contratto qualche malattia, ma non aveva per niente voglia di svegliare il povero Braska, che aveva un disperato bisogno di ogni ora di riposo disponibile.
Luka dal grande stadio, il giudice Alan, tutta quella dannata faccenda in cui erano rimasti invischiati, lo avevano consumato senza pietà e senza poterci fare nulla. E poi, quasi più di tutto, c'era Auron.
Jecht drizzò la schiena a pezzi, cercando di assecondare il movimento placido della barca che, normalmente, lo avrebbe rilassato fino a farlo addormentare, ma non quella notte: come accadeva spesso, il mare era specchio dell'anima di Jecht, e come le onde si muovevano senza sosta, così facevano i suoi pensieri.
Ormai era abituato a litigare con Auron, ma quella volta era diverso: desiderava davvero tanto avere la sua approvazione, almeno per una volta, almeno per quella volta in cui si sentiva sicuro di fare la cosa giusta.
Nonostante tutto, ne era ancora convinto. Che ne sapeva Auron, giovane monaco che non aveva mai conosciuto la vita coniugale, di come funzionavano quelle cose? Soprattutto di come funzionava la sua, di situazione? Tuttavia, rassicurarsi in quel modo non era sufficiente per allentare il nodo allo stomaco che non lo aveva mai abbandonato, nemmeno quando si trovava nella sua Zanarkand.
Quel nodo allo stomaco era un monito, un parassita che gli ricordava costantemente che c'era qualcosa che non andava, che c'era sempre qualcosa di cui preoccuparsi e pentirsi, che non andava mai bene niente.
Si era infuriato così tanto sul ponte poche ore prima, giurando a se stesso che non avrebbe permesso ad Auron di distruggere l'equilibrio che aveva costruito con tanta fatica, da non rendersi conto che lui lo aveva già fatto.
Jecht strinse la coperta tra le mani, cercando di respirare a fondo per non farsi prendere dal panico. Si era troppo abituato alle cose impossibili, pensò, come quando Auron gli aveva stretto le mani sul campo di battaglia, o quando lo aveva baciato per la prima volta: ottenere la sua approvazione e realizzare il suo sogno romantico era la più grande delle assurdità a cui puntava, quella che gli serviva di più, ma aveva confidato troppo nella fortuna.
L'atleta voltò la testa, cercando nel buio pesto il monaco che, come aveva immaginato, si era coricato il più lontano possibile da lui. Serrò la mascella, pensando che non era giusto che solo lui si tormentasse nel cuore della notte per colpa sua. Niente di ciò che stava vivendo era giusto, e sperò con tutto il cuore che anche Auron vivesse un po' della sua agonia.
Resosi conto che, probabilmente, era in preda a qualche delirio dovuto alla stanchezza, cercò di applicare le tecniche di respirazione che aveva imparato per calmare i nervi e fare apnee più lunghe in partita, cosa che gli riuscì solo in parte.
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La caduta dell'ombra (FFX)
Fanfiction«Allora la mia città vivrebbe, alte come il volo d'airone le sue guglie, fertile come ventre di donna la sua piazza». Questa è la loro storia. Nel continente di Spira, da secoli l'ira di una divinità si traduce in un mostro marino in grado di rader...