XXVIII. Se Alan cadesse (Parte 2)

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Auron si sentiva a disagio nel tenere la sfera alzata per registrare tutta la partita, senza potersi godere appieno la competizione. Gli sembrava una cosa stupida. Visto il prestigio, quel torneo doveva essere perlomeno visto con i propri occhi, senza preoccuparsi tanto delle registrazioni.

Nonostante tutto, tra un sospiro e l'altro, esaudì la richiesta di Jecht. I loro rapporti non erano stati sempre buoni, ma l'amore e la passione che aveva visto sul suo volto quando aveva posato gli occhi sullo stadio erano travolgenti. Rifiutarsi di aiutarlo gli avrebbe fatto davvero male, e non se la sentiva proprio di avere un tale peso sulla coscienza.

L'arbitro sancì con ampi movimenti delle braccia la fine della partita e, con una leggera pressione dell'indice, il monaco interruppe la registrazione, avviandosi verso l'uscita.

Il Blitzball non lo entusiasmava molto, ma da lì a poco avrebbe visto Jecht giocare per la prima volta, e si sentì stranamente coinvolto. Dopo tutto quel vantarsi di essere un campione, Auron non poteva farsi sfuggire l'occasione di smascherare le sue spacconerie: forse era anche bravo, ma il guerriero voleva vedere quanto bravo.

Una volta fuori lo stadio, un caotico labirinto di spalti e scale, si prese qualche istante per orientarsi e capire dove andare.

La zona urbana, ricca di locali e decorazioni, era nettamente distinta da quella portuale, ma Luka era una città molto dispersiva e la folla lo distraeva parecchio.

Si erano dati appuntamento al molo dove avevano attraccato, ma il porto era pressoché tutto uguale: un mare di assi di legno pieno di turisti, casse, merci e marinai. Per sua fortuna, il colorato abbigliamento di Braska spiccava nel mucchio, ma non vedeva Jecht con lui.

«Auron! Siamo qui!» disse l'Invocatore agitando il braccio con un largo sorriso.

Il monaco si avvicinò e, senza farsi notare, mise la mano destra nella tasca che conteneva la sfera.

«Dov'è il campione? Panico da prestazione? Proprio ora che tocca a lui,» commentò Auron con sottile perfidia. Braska scoppiò a ridere.

«Veramente è lì dietro,» rispose, indicando una piccola colonna di casse di cibo. «Sta facendo riscaldamento».

«Oh? Nascosto?» disse il monaco attivando la sfera nella tasca e avvicinandosi di soppiatto.

Il suo tentativo di coglierlo in fallo fallì miseramente quando Jecht spuntò fuori all'improvviso e corse verso di lui, impaziente.

«Eccoti qui! Ero convinto che mi avessi piantato in asso,» disse l'atleta agitato.

Auron sospirò infastidito, dimenticandosi anche di avere la sfera accesa.

«Pensavi male».

«Hai ripreso l'ultima partita?» insistette Jecht.

«Sì. Ma non ho capito perché me lo stai facendo fare. Non hai detto che giocate a Blitzball nella tua Zanarkand?» disse facendo il verso al compagno.

«Certo! Non sei uno sportivo, eh?»

«Magari vuole allenarsi,» commentò Braska allegro, ma Jecht incrociò le braccia e sbuffò.

«Non ho bisogno di allenamento. Sono il grande Jecht,» rispose gonfiando il petto. «È per mio figlio».

Braska smorzò il suo sorriso per un istante: il suo pensiero corse veloce verso Yuna, e non poté fare a meno di provare una malinconia che si insinuò nel suo cuore come una spina.

«Tuo figlio gioca a Blitzball?» chiese l'Invocatore intenerito.

Auron avvertì un leggero brivido dietro la schiena: Jecht non parlava mai della sua famiglia, e vederlo così accorato per il figlio era una cosa nuova che non sapeva come elaborare.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora