III. Abbandono

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Jecht non ricordava quando aveva visto per l'ultima volta il sole accarezzare le pagode di Zanarkand e l'acqua delle cascate intrappolare la luce

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Jecht non ricordava quando aveva visto per l'ultima volta il sole accarezzare le pagode di Zanarkand e l'acqua delle cascate intrappolare la luce.

Dal molo dove aspettava la Laguna Shore osservava il mattino sgargiante, in qualche modo meno pacchiano dell'illuminazione notturna. Quando pensava alla sua città, la vedeva come un faro nel buio, una stella artificiale che voleva rivaleggiare con quelle che splendevano sopra di lei.

Le partite di blitzball si svolgevano di sera, nello stadio automatizzato che lasciava sempre a bocca aperta i bambini. Subito dopo c'erano le feste, tanto che Zanarkand gli era sempre sembrata vivere in una notte eterna: forse, al sorgere del sole, sarebbe svanita come un sogno. Eppure le nuvole viaggiavano nel cielo limpido, i gabbiani gridavano e le luci oltre le finestre erano spente, le tende tirate.

Che cosa si poteva fare, di giorno, oltre a correre e allenarsi sulla spiaggia? Oltre a immergersi nella sfera d'acqua e stringere il pallone, focalizzandosi sul vincere la partita?

Jecht socchiuse gli occhi scuri e ascoltò le onde che si infrangevano sul molo, in uno dei rari momenti di pace che gli erano concessi. Davanti a sé vedeva le navi salpare per il mare caliginoso, svanendo dietro la curva dell'orizzonte. L'ebbrezza se n'era andata ed era tornata la sensazione di pesantezza che gli invadeva ogni giorno lo stomaco, alleviata solo dal canto delle acque.

Forse un giorno avrebbe potuto portare suo figlio sul molo: gli avrebbe indicato le vele che passavano e, anche se era stonato, gli avrebbe canticchiato quell'inno strano che risuonava ogni tanto durante le partite.

La Laguna Shore, interrompendo la sua contemplazione, arrivò finalmente all'attracco. I suoi motori facevano vibrare l'aria come il diaframma di una balena e il suo scafo lucido si preparava ad accogliere i viaggiatori.

Jecht sospirò e strinse il manico del borsone che aveva appoggiato alla spalla sinistra. Si voltò per l'ultima volta in direzione della fulgida Zanarkand che avrebbe lasciato per qualche giorno. Gli si strinse il cuore, come se per qualche motivo presentisse un addio.

Non piangere la città che perdi, disse all'improvviso una voce nella sua testa, chiediti piuttosto se sei stato degno di lei.

Jecht aggrottò le sopracciglia: gli sembrava che Tidus avesse parlato, o comunque un ragazzino della sua età. Alzò lo sguardo in direzione della nave e vide un bambino che, con aria assente, ne ammirava il profilo. Aveva la pelle scura come quella dei marinai, il suo volto era celato da un cappuccio viola e la sua vita cinta da numerosi ornamenti d'oro.

La visione durò soltanto un istante. Il campione degli Zanarkand Abes, immobile, si premette le dita sulle palpebre mentre veniva superato da altri viaggiatori. Gli era capitato di essere stato ubriaco per più di un giorno, e anche di avere qualche miraggio dovuto all'assenzio che dissolveva la sua lucidità, ma quella mattina era sicuro di essere tornato sobrio. Con un mal di testa che lo faceva impazzire e lo stomaco rivoltato, ma sobrio.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora