ℷ. Carte del processo a Davon di Janne, sacerdote - II

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Mese IV, 1026
27 giorni dal solstizio d'estate


«Sì» disse il più giovane dei Guardiani di mio fratello quando gli passai a fianco. Guardai il suo viso, i suoi occhi rivolti altrove, e mi fu subito evidente che non intendeva rivolgere la parola a me, bensì era impegnato in una conversazione con l'altro.

Jecht, nel vedermi, riuscì a dissimulare la paura nell'espressione del volto, tuttavia si tradì facendosi più vicino al compagno, in maniera che mi parve del tutto involontaria.

«Auron» chiamai, passando le dita sulla cartella di documenti che tenevo in mano. Lui, che era seduto su una delle panche fuori dal tempio, alzò lo sguardo e sostenne il mio, nonostante mi paresse vagare in altri pensieri.

«Se ne vada» tentò di minacciarmi. Forse l'amico gli aveva riferito la nostra conversazione e la sua coscienza non era pulita.

«Braska sta arrivando» lo informai, sorridendo. «Vuoi approfittare della sua assenza per prenderti la tua rivincita?»

«Il mio giuramento da Guardiano mi impedisce di attaccare all'interno di un recinto sacro».

Alzai le sopracciglia e gli rivolsi un secondo sorriso.

«Sei piuttosto devoto» replicai, poi spostai lo sguardo su Jecht. «Ma il confine tra devozione e ottusità a volte è davvero sottile. Potrei cercare di ucciderlo».

Auron impugnò saldamente la spada con la destra e la portò davanti alle proprie gambe, in modo da fare da scudo a Jecht.

«Mi impedisce di attaccare» ripeté.

La risposta mi piacque. Pensai che la Necropotenza, con lui, sarebbe stata in buone mani. Così, mi congedai con un cenno del capo, rivolsi un'ultima occhiata a mio fratello ed entrai nel tempio.

Qualcuno, forse l'Intercessore, cantava scandendo ogni sillaba, come se volesse far comprendere a dei profani la sua lingua antica.

Quando fui solo, con la coda dell'occhio fuggii l'ostacolo del velo e controllai alle mie spalle. Erano lì, i ventuno spiriti del Coro, sempre con il viso pitturato di bianco; sempre immobili nelle loro fila, le labbra socchiuse come per iniziare a cantare lo stasimo della loro incomprensibile tragedia. Ma stavano in silenzio.

«Continui a non parlarmi?» domandai a mezza voce. Avevo già avuto la compassione della gente, un tempo, quando il trauma mi faceva parlare con persone che non c'erano; non avevo intenzione di ripetere l'esperienza anche con quelle che gli altri non potevano vedere.

CORO      (Tace)

«È perché non ho intenzione di risponderti cantando in rima» domandai «o sai trovarmi una motivazione migliore?»

CORO      (Tace)

Sospirai, e annullai la sua presenza chiudendo gli occhi e tirando il velo fino al mento. Quando riaprii le palpebre, davanti a me c'erano solo i corridoi intricati del tempio di Djose e Kelk Ronso che mi attendeva accanto a una statua di Zaon.

«Ha bisogno di qualcosa?» mi chiese lui, forse poiché mi aveva sentito parlare o mi aveva visto guardarmi attorno.

Scossi la testa.

«Stavo solo pensando».

Ero diventato abile a nascondere le vie della mia mente agli occhi altrui. Kelk non insistette oltre, ma avvertii il bisogno di rimandare gli impegni che richiedevano la mia attenzione.

Mi congedai dal mio sottoposto, invitandolo a incontrarci di nuovo dopo qualche ora e, così come ero arrivato, me ne andai in silenzio verso la cella che i monaci di Djose – pur odiandomi – mi avevano offerto.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora