XVII. Come combattere i giganti (Parte 1)

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Il liquore che scendeva lungo la gola di Jecht era come l'acqua che, scrosciando, precipitava dalle cascate di Zanarkand

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Il liquore che scendeva lungo la gola di Jecht era come l'acqua che, scrosciando, precipitava dalle cascate di Zanarkand. Il torpore che gli pervadeva le dita gli ricordava la sua città, piuttosto che fargliela dimenticare, ma era un ricordo distante e ammorbato di cui il cuore poteva tenere le redini.

Jecht valutò lo stato delle cose scuotendo la fiasca di Auron – il moto di risacca ne colpì le pareti, e lui capì che era ancora piena per metà – e concentrandosi sul pizzicore, ancora non molto intenso, alla bocca dello stomaco.

Steso sull'erba di fianco al falò, vide le scie circolari lasciate dalle stesse stelle di cui aveva avuto paura. Stava cominciando ad albeggiare, e lui prese un lungo sorso di liquore sotto l'atmosfera romantica delle nuvole: erano grigie, illuminate da un rosa soffuso.

Che male può fare una passeggiata?, pensò, bevendo ancora. Capì che il liquido nella bottiglia era ormai al suo ultimo quarto, come la luna che aveva visto quella notte, ma non ricordava di aver bevuto così tanto. Si sentiva bene, anzi, come se i suoi occhi per la prima volta vedessero per davvero quanto era bella la terra di Spira, quanto dovesse essere difesa dal male.

Era come se qualcuno avesse sollevato il velo dal suo viso, mentre gli altri ancora vagavano nella nebbia sacra dell'illusione.

Mosse qualche passo traballante in direzione del fiume, con l'intenzione però di percorrerlo dalla parte opposta rispetto a quella dove aveva trovato gli Al Bhed: i suoi sensi erano offuscati, ma ancora si rendeva conto che, in quelle condizioni, non avrebbe forse saputo rifiutare il loto.

A un tratto sembrò ripensarci e tornò verso il falò: estrasse la propria spada, che aveva piantato a terra. Temeva di trovare qualche mostro all'interno del bosco che gli girava attorno, nonostante non li avessero infastiditi durante tutta la notte. Ricordò con un sorriso di quando Auron gliela aveva regalata – l'aveva fatta forgiare proprio per lui, proprio per lui, se avesse potuto lo avrebbe raccontato a tutti i presenti al bar – e, colto da un capogiro, fu costretto a fermarsi.

Guardò a terra, la sua arma stretta nella destra e la fiasca sul lato sinistro, fino a quando l'erba non smise di vorticare e la strana sensazione nelle sue viscere non fu attenuata da un generoso sorso di liquore. Poi si sentì pronto ad avanzare, la spada appoggiata alla spalla come un vero guerriero.

Come uno di quelli per cui gli Yevoniti erigevano le statue, i Guardiani leggendari, Auron... come sarebbe stato bene Auron a fianco a loro, severo e solenne, a guardare dritto davanti a sé...

I lunioli salivano dal fiume, mandando bagliori sulla lama scura della sua spada, le frasche talvolta si muovevano e frusciavano. Non era che il vento, ma se un mostro fosse balzato allo scoperto, sarebbe stata l'occasione per Jecht di provare il suo valore.

Ad un tratto, tra le foglie che si diradavano, l'atleta scorse una creatura, celata dal buio e dalla rada foschia che saliva dalla terra.

Non c'erano dubbi: era un gigante, lento ma letale. Jecht strinse il pugno sull'elsa e si immerse nella vegetazione con il minimo rumore possibile. Trattenne il respiro quando lo vide: era alto almeno tre volte lui, la sua pelle era grigia e spessa come quella di un pachiderma. La testa ricominciava a girargli, la vista era resa acquosa e indistinta dalla rugiada che gli bagnava le ciglia e le palpebre, ma lui era forte.

La caduta dell'ombra (FFX)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora