3_L'aereo sbagliato

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<Eccoci!> esclama fermando l'auto nel parcheggio, sulla destra. Questo posto è a dir poco gigantesco, prendendomi la valigia, inizia a seguirmi verso l'interno. Non guardarsi attorno, sarebbe impossibile. Ci sono molte persone: gruppi di amiche che camminano in gregge ridendo per qualsiasi parola venga fuori, gente che si abbraccia piangendo, ragazzi che parlano al cellulare ed anche chi cammina senza alcuna meta, la cosa certa, è che vanno tutti di fretta. <Sai dove andare?> mi chiede fermandoci entrambi dinanzi ad una rampa di scale mobili affiancata da un'altra normale.

<Certo!> prendo la valigia, esito un po' restando davanti a lui. I suoi occhi sono lucidi, credo che si stia trattenendo davvero molto per non piangere. <Prenditi cura di mia mamma. Tornerò presto!> con un cenno di testa, mi giura che resterà con lei, qualsiasi cosa dovesse accadere. So che lo farà. Ed è così, che lascio dietro di me, un'altra parte del mio cammino. Mi dirigo al banco del check-in, eseguo tutte le operazioni necessarie per poter prendere il volo e proseguo dritto fino al primo aereo diretto ad Istanbul.

In questa parte dell'aeroporto, le persone sono quasi pari a zero, ma probabilmente è normale, dov'è scritto che dev'essere pieno di gente ogni punto? Entro passando in un corridoio spazioso che si prolunga fra sediolini vuoti, fino a raggiungere la prima classe. Mi guardo attorno, non ci avrei mai scommesso, io, Darron Strong, in viaggio da sola.

Mi alzo sulla punta dei piedi per posizionare la borsa in alto, ma esattamente dal nulla, una donna rinchiusa in un tailleur nero, con aria seria e una lunga coda di cavallo, mi afferra un braccio tirandomi violentemente contro di sé: <Chi è che vi ha dato il permesso di salire?> brontola riuscendo a smuovermi più di quanto immaginassi.

<Ma che fai? Lasciami!> grido ritirando ogni parte di me, con una forza fuori dal comune. <Perché avrei dovuto chiedere il permesso? Dimmi un solo motivo valido per il quale non dovrei essere qui! Anch'io ho pagato il biglietto!> incrocio le braccia al petto per fargli capire che non andrò via con così tanta facilità.

<Certo, non lo metto in dubbio, ma per l'altro aereo, signorina. Questo è privato!> spiega, volendo sembrare più gentile e cortese.

<Privato? E chi ci sarebbe di così importante, eh? La regina Elisabetta?> rido rumorosamente fin quando non sento delle mani gelide posarsi sulle mie spalle.

<No, lei ha avuto un imprevisto, ma ci sono io!> con una lentezza disarmante, ruoto di poco il mio viso, quel che basta per capire che si tratta di un uomo dagli occhi chiari, i capelli di un intenso biondo scuro perfettamente pettinati verso sinistra, un filo di barba e le labbra sottili. Ha tratti molti mascolini, veste un elegante completo a tre pezzi che sfuma dal bianco della camicia, al grigio del gilet abbinato ai pantaloni. So di star perdendo troppo tempo su di lui, ma non riesco a fare altro, è come se fossi completamente ammaliata da ogni suo piccolo particolare. Emana sicurezza e determinazione da ogni lato lo si guardi. Quando scolla le mani da me, abbassa lo sguardo al suo orologio da polso, poi infila due dita in una tasca ed estrae un biglietto aereo che allunga nella mia direzione <Questo è per te. Il prossimo aereo partirà tra una ventina di minuti.> lo guardo incredula, afferrandolo con una sorta di incertezza.

<Spero che tu abbia voglia di scherzare...>

<Affatto e non ho intenzione di fare tardi per i capricci di una ragazzina.>

<Ah si? Una ragazzina?> controllarmi, risulta essere impossibile, vorrei poter dire che non è ciò che voglio, ma finirei per mentire, ha un non so che di irritante e intrigante al tempo stesso <Be', puoi scordartelo che scendo!> dico burbera buttandogli il biglietto sul petto dopo averlo accartocciato per bene <Ho appena perso il volo. Ora mi porti con te.> mi pianto sul primo sediolino vuoto, mettendo la cintura di sicurezza per rendergli più facile capire che non ho alcuna intenzione di accontentarlo.

<Cosa ti fa pensare che io sia disposto a volerti portare con me?> domanda venendo più vicino. Alza un sopracciglio per voler sentire quanto prima la mia risposta e, di certo non aspetto altro:

<Non voglio che tu mi porta con te, ma in questo aereo. Ho soltanto bisogno di un passaggio fino ad Istanbul, poi non mi vedrai mai più, promesso.> concludo con uno dei gesti che spesso viene usato per le promesse e spero che si allontani da me al più presto. Non ho mai potuto sopportare la vicinanza umana: o mi farà male, o non potrò più farne a meno.

Temporeggia, è fermo con lo sguardo su di me e le mani in tasca <Ti ho già vista da qualche parte, vero?> fa un cenno con la testa, riducendo i suoi occhi in piccole fessure orizzontali <Come ti chiami?> si sporge di pochissimo verso di me riuscendo a riempirmi di brividi che preferisco ricondurre al freddo.

<Ti assicuro che non ci conosciamo!> sentendo il mio tono aggressivo, la ragazza si alza per riprendermi il braccio col chiaro intento di volermi nuovamente buttare fuori, fortunatamente, lui si mette di mezzo spostandola con una sola mano che le posa sul ventre per farla indietreggiare.

<Lasciala qui, Kate!> dice fissandomi <Ormai sarebbe inutile, abbiamo già perso abbastanza tempo.>

<Va bene, signore, come vuole!> e nonostante ciò, va via solo dopo avermi mandato un'occhiataccia carica di disprezzo.

Quando a padroneggiare questa parte siamo solo noi, si siede al mio fianco restando in un imminente silenzio fin quando mi faccio coraggio e provo a rompere il ghiaccio nel modo peggiore che conosco: <Ma chi sei? Una specie di principe? Aereo privato, assistente! Ci mancano solo i paparazzi ad aspettarti fuori dall'aereo.>

Crea una strana smorfia che vacilla tra il fastidio e il "ma che simpatica che sei" urlato con un sarcasmo impressionante e una mezza risata nevrotica prima di ristabilire le acque. <Fossi in te non mi agiterei troppo.> mi sussurra all'orecchio <Allora?>

<Allora cosa?>

<Qual è il tuo nome?> ogni volta che si avvicina, il mio cuore perde inspiegabilmente un battito.

<Non te lo dirò per nulla al mondo.>

<Un nome un po' lungo, non trovi?>

<Tua mamma non te lo ha insegnato? Non si parla con gli sconosciuti!>

<Eppure ci sei vicino!> sentenzia fiero. Si ributta allo schienale tenendo una mano che penzola sul bracciolo interno e quindi facendola cadere quasi sulla mia coscia.

<Solo perché non ho altra scelta.>

<L'avevi. Ti avevo chiesto di scendere e prendere il prossimo.> lo guardo senza aggiungere altro; ha la testa contro lo schienale e gli occhi chiusi.
È odioso ma bello. Bello da morire.

 ➳𝑰𝒎𝒑𝒐𝒔𝒔𝒊𝒃𝒍𝒆[ᵁᶰ ᵃᵐᵒʳᵉ ˢᵗᵃᵐᵖᵃᵗᵒ ˢᵘˡˡᵃ ᵖᵉˡˡᵉ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora