47.Lui con me e viceversa.

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Stringo il cuscino fra le braccia e butto un'occhiata all'orologio: 20:03.

Decido di mettermi in piedi e subito dopo raggiungo l'armadio sperando di trovarci qualcosa da mettere.
Con mia grande sorpresa riesco ad intravedere, fra i tanti abiti, un vestito nero. È molto elegante ma estremamente semplice, proprio quello di cui ho bisogno.

Lo abbino con delle scarpe, un cappellino alla francese e un cappotto che non riscalda per nulla.

Quando attraverso il grande arco che affaccia sul soggiorno, lo trovo intento a fissare lo schermo poco luminoso del suo tablet.
<<Se sei pronta possiamo andare>> dice senza neanche guardarmi. La sua voce di colpo mi è sembrata freddo e mi causa un nodo in gola.

<<Io non so se...>>

<<Ancora?>> Sbuffa deluso.

<<Si, ancora Kerem. Ancora.>> rispondo stizzita riuscendo ad avere finalmente la sua attenzione.

<<Sei ancora arrabbiata?>> si mette in piedi. Si incammina verso di me e quando mi è a due passi comincia a studiarmi dall'alto <<Cos'altro ancora devi fare? Me lo spieghi, Evren?>> Scuoto lentamente la testa stringendo lo sguardo <<Dimmelo!>> urla un po' <<Sei a Parigi. In una casa stupenda, con tantissimi abiti e->>

<<Pensi che sia un film? Pensi che sia questo che basti a farti perdonare?>> provo ad andare via per non peggiorare la situazione ma non appena mi stringe il braccio per tirarmi a sé sento il cuore stretto in una morsa.

<<Evren...>>

<<LASCIAMI>> come sempre mi libero dalla sua presa e lo guardo malissimo. Ho già gli occhi lucidi e la voce inizia a vacillare <<Scusa! Scusa, Kerem. Era questo che volevo sentire. È tanto difficile per te?>> non ho mai avuto bisogno di grandi gesti. Non sono mai stati nei miei piani...a dirla tutta, un piano, io, non l'ho mai avuto.

Il rumore della porta che si apre e poi so chiude, in questo momento non mi arreca altro fastidio.
<<Siete pronti?>> ma la voce di Engerek, si. Molto.

Guardo ancora gli occhi chiari di Kerem. Il suo sguardo è indecifrabile e dandomi un pizzico sulla pancia lo lascio dietro le mie spalle. Sbattendo i piedi a terra lascio l'intera casa e mi dirigo dall'unico viso familiare in questo momento: Il padre di Kerem.

Mi guarda sorridendo e cerco di ricambiare, anche se in modo sforzato.

<<Buonasera, signorina Evren.>>

<<Buonasera.>>

<<È successo qualcosa?>>

<<Oh...>> mi guardo le spalle, subito dopo lui <<È umano dare le cose per scontato. È umano abituarsi alle presenze. È umano sbagliare...>> e io ho sbagliato a non essere scappata lontanissimo.

<<Sa'...questa vita è piena di controsensi, eppure, mia cara Evren... nulla è fatto per caso>> sento le sue parole ghiacciarmi l'anima, ma annuisco. <<Ha bisogno di essere più forte! Non siamo mai pronti ai colpi che ci sferrano>> mi sorride di nuovo mettendo le mani in tasca. <<Sono certo che non si lascerà abbattere>> conclude prima di entrare in auto.

Osservo la macchina farsi più distante mentre ripenso alle sue parole che provo a decifrare e mentre mi distraggo, Kerem mi arriva davanti. Presa alla sprovvista non riesco ad allontanarmi, per cui mi ritrovo come un sacco di patate sulla sua spalla.

Grido di mettermi giù e il suo silenzio mi irrita. Scalcio e mi muovo, tuttavia non basta.

Non basta fino al momento in cui decide di lasciarmi sul sediolino riuscendo a mettermi persino la cintura di sicurezza. Chiude lo sportello per fare il giro e si posiziona al posto di guida. Stringe il volante, emana un sospiro e si gira verso di me.

<<Ti porto in un posto>> sussurra <<Ti va?>>

<<Non parlami come se avessi scelta.>>
Ridacchia. Ruoto la testa nel lato opposto e chiudo gli occhi per calmarmi. <<Non vedo l'ora che tutto questo finisca>> borbotto acida sentendo il cuore a mille.

Il viaggio continua in modo molto silenzioso. Io non parlo. Lui non parla. E a rendere il silenzio ancora più tagliente e l'assenza di qualsiasi altro rumore attorno a noi.

Scendiamo quando si ferma in una piazzola piena di auto lussureggianti. Questo posto è a dir poco stupendo, le numerose luci bianche rendono l'atmosfera più accesa e le rose più romantica. Lo guardo non riuscendo a capire, però mi allunga una mano. L'afferro quando capisco che qualcuno potrebbe vederci e lo seguo senza fare storie.

Giungiamo in una sala completamente bianca. Ci fermiamo all'entrata. Mi stringe la mano. Mi guarda. Sorride. Spegne le luci.

<<Ke...>> non riesco neanche a finire il pensiero che un cambio di colori improvviso mi mette sull'attenti. La mascella mi cade a terra e gli occhi sono fissi al cielo che ha acceso in questa stanza.

<<Siamo in mezzo all'universo>> mi dice con tono calmo <<stelle, galassie, pianeti>> prendo terreno verso il centro, ammaliata da questi infiniti puntini luminosi <<Sai? La maggior parte dell'universo è formato da materia oscura distribuita in modo non uniforme nella nostra galassia e lo spazio intergalattico>> lo sento arrivarmi al fianco <<È infinito>> Porto il mio sgaurdo su di lui e sorrido mentre fissa l'alto. <<Ho sempre desiderato indossare una tuta bianca per raggiungere la Luna>> cerca i miei occhi <<Ma poi ho capito che mi basti tu>> perché riesce a farmi così bene? Perché non riesco a pensare ad altro che al nostro accordo? Perché sento che questo non ne faccia parte? E se mi stessi illudendo da sola? <<Se potessi ricondurre qualcosa a te, sarebbero miriadi di stelle, tutte quelle che hai negli occhi>>

<<È per caso un: "scusa, mi dispiace"?>>

Ride nevroticamente mentre infila le mani in tasca ricreando una strana smorfia. Gli do una fiancata e torno a guardare il cielo.

Per un attimo sento il fiato mancarmi. Lo stomaco mi sta divorando. E all'improvviso riprende <<Si>> ruoto tutto di me verso lui e storcio le labbra <<Evren...>> si stuzzica i capelli <<No...io...>> sbuffa duramente e continua parlando a raffica, come se neanche stesse pensando: <<scusa. Scusa, sono stato uno stupido. Mi dispiace di averti tirata con me. Mi dispiace di essere entrato nella tua vita così. Mi dispiace averti fatto piangere. Mi-mi dispiace averti accusato di qualcosa che non avresti mai potuto fare. Mi dispiace di non essermi fidato. Mi dispiace e->>

Poso le mani sulle sue guance calde <<Sta zitto>> lo attiro a me, chiudo gli occhi, rallento l'attimo e mi fiondo a capofitto sulle sue labbra.

È un bacio brevissimo. È forte. È un istante.
Mi allontano di poco. Lo guardo. Mi guarda. Mi afferra per il girovita e mi sbatte su di sé per continuare ciò che ho iniziato di slancio.

Sento la sua lingua che timidamente sfiora la mia. Percepisco il bisogno di questo momento e non mi oppongo.
Siamo in mezzo all'universo.
Siamo nel posto giusto.

Lui con me, e viceversa.

Forse è sbagliato ma in questo momento, la cosa più sbagliata sarebbe stato dire basta ancora una volta a una cosa che più di qualunque altra può farmi bene.

Forse è sbagliato ma in questo momento, la cosa più sbagliata sarebbe stato dire basta ancora una volta a una cosa che più di qualunque altra può farmi bene

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 ➳𝑰𝒎𝒑𝒐𝒔𝒔𝒊𝒃𝒍𝒆[ᵁᶰ ᵃᵐᵒʳᵉ ˢᵗᵃᵐᵖᵃᵗᵒ ˢᵘˡˡᵃ ᵖᵉˡˡᵉ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora