4_Mai una giusta!

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Credo di star passando la maggior parte del viaggio, dormendo. Preferisco chiudere gli occhi, al posto di pensare che tutto sia già cominciato nei peggiori dei modi. Sono fra due sconosciuti e per di più, l’uno più snob dell’altro, suppongo che mi possa essere quanto meno d’aiuto per quando incontrerò gli altri componenti di questo cerchio allargato: i miei nemici più grandi, la famiglia Bürsin — ad essere sincera non conosco nulla di loro; ho scelto di evitare qualsiasi fonte avesse potuto portarmi dritta al punto. L'ho fatto perché ero certa che prima o poi, mio padre li avrebbe portarti da me...ma ovviamente, è andato via troppo presto.

Arrivati a questo punto, avrei preferito un aereo pieno di gente normale, so di aver avuto questa possibilità, tuttavia, non sopportavo l’idea di poter essere mandata via da un aereo solo perché ‘’è privato‘’.

Dopo un lungo lasso di tempo indeterminato, sento una mano posarsi delicatamente sulla mia guancia. Contro voglia mugolo qualcosa di incomprensibile persino per me e mi giro dall’altro lato per continuare a dormire <Signorina, dobbiamo scendere> mi informa senza ottenere riscontri <Signorina?> sbarro gli occhi: Istanbul. <Oh, finalmente!> esulta appena butto la schiena allo schienale del sediolino piuttosto scomodo. <Avevo quasi perso le speranze> Mi guardo attorno, del ragazzo biondo, quello che crede palesemente di avere il mondo in mano, non c’è più nessuna traccia. Il che non mi dispiace poi molto, almeno credo.

<Siamo già ad Istanbul?> domando sbirciando dal finestrino senza intravedere alcun edifico familiare.

<No, abbiamo una piccola tappa a Los Angeles, si tratta di affari. Il signor Kerem mi ha ordinato di dirle che saremo di ritorno prima che possiate anche solo accorgervene> la sua mezza risata, non mi rassicura per niente. Io dovrei essere a casa mia per pensare ad un piano, non in questo posto per aspettare che lui faccia i suoi comodi.

<Mi prendete in giro?> scatto, fissandola negli occhi in cerca di uno striscione con su scritto che sta solo scherzando, però non ho voglia di aspettare qualche altra scusa che mi tenga incollata ancora qui. Aveva ragione, avevo una scelta, e ho preso quella sbagliata — è assurdo come le cose diventino chiare, solo quando è troppo tardi. Mi avvio verso l’uscita, il mio unico scopo, adesso, è quello di parlare col signor Kerem. Continuo a marciare verso di lui pur venendo richiamata più volte di seguito dalla sua assistente. A dividerci sarà poco più di un metro quando esplodo senza voler sentire ragioni: <Perché siamo a Los Angeles?> chiedo con voce stridula, anziché nel tono minaccioso e autoritario che speravo di mostrare. Solo dopo, mi rendo conto che poco distante da noi, c’è un uomo che guarda nella nostra direzione con fare più che interessato <Dovevi dirmelo.>

<Perché ho delle-> si blocca di colpo <Scusami...Non credo che siano affari tuoi!> continua correggendosi quasi subito mentre mi guarda come se volesse incenerirmi. <Hai scelto di restare nel mio aereo, ora accetti di passare del tempo a Los Angeles.>

<Devo raggiungere Istanbul.> marco ancora.

<Si? Okay…lo farai dopo> ringhia a denti stretti.

Prova ad andare, ma velocemente gli afferro la mano per ritirarlo indietro. La sua estrema vicinanza, adesso mi imbarazza, sembra quasi che il tempo si fermi non appena i suoi occhi si scontrano con i miei. Ritornare con i piedi per terra, non mi è mai parso così complicato. Anche se con una certa incertezza, allento la presa <Senti...ho un'idea: Tu mi ridai il biglietto, ed io andrò via. Cosa ne dici? Potrebbe andare bene...>

<Quale con esattezza? Quello che hai accartocciato e lanciato su di me?> …quanto lo odio, ha una risposta a tutto.

<Kerem!> si intromette energicamente l’uomo dalla cravatta rossa e la camicia nera <Non mi avevi detto di essere in dolce compagnia> dall’espressione che crea, farsi vedere con me, è l’ultima cosa che vuole <È molto carina, sai? Semplice ma d'effetto.> allunga la mano e senza esitare troppo, gliela stringo volentieri.

<Grazie. Siete molto gentile, signor…?>

<Victor, può chiamarmi Victor> dice pendendo dalle mie labbra.

<Victor, un gran bel nome, non trovi anche tu, Kerem?> non pensavo fosse così divertente far innervosire gli altri; lui vuole tenermi con sé, bene, allora resterò qui, ma a modo mio.

<Si> ci guardiamo <Bellissimo!> risponde sarcastico afferrandomi la mano e poi il gomito per trascinarmi con sé dopo averlo salutato in modo veloce e sciatto ricordandogli che si sarebbero incontrati in questi giorni per concludere il contratto <Lui è un mio cliente, prova a rovinare qualcosa e->

<E? Che fai? Mh? Sentiamo…> il suo modo di osservarmi è sempre lo stesso <Pensi che io sia pazza, non è vero?> si limita a ricreare una smorfia che coinvolge tutti i muscoli della faccia <Allora?>

<Si. Si lo penso. Nessuna ragazza dal buon senso si sarebbe intrufolata e rimasta in un aereo che non le riguarda.>

<Ho già chiesto scusa per questo>

<Ah, ma davvero? E quando?> chiede stringendo lo sgaurdo e infilando le mani in tasca.

<Prima...>

<Certo, prima.> ripete furioso <Peccato che io non ricordi questo particolare e ti assicuro che ho una buona memoria.>

<Okay, avrò sicuramente sbagliato, ma-> il rumore di un tuono mi fa drizzare sul posto e puntare al cielo scuro, più nuvoloso di qualche minuto fa <Sta per piovere...>

<Lo vedo anch'io.> Riguarda l'orologio con noia, poi un punto indefinito dietro le mie spalle <Devo andare. Tu non avvicinarti al bar.> raccomanda mostrandosi fin troppo serio.

<Va be...> mi lascia dietro i suoi passi pesanti evitando anche di salutare come farebbe una qualsiasi persona normale <va bene, signor Kerem...come vuole lei, maestà!> concludo parlando a vuoto <Quanto è odioso. Io lo odio. Lo odio. Si. Si, lo odio da impazzire.>

 ➳𝑰𝒎𝒑𝒐𝒔𝒔𝒊𝒃𝒍𝒆[ᵁᶰ ᵃᵐᵒʳᵉ ˢᵗᵃᵐᵖᵃᵗᵒ ˢᵘˡˡᵃ ᵖᵉˡˡᵉ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora