11.Come un bounty

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Il ritorno a casa fu confuso e appannato dal cuore che mi esplodeva nelle orecchie riverberando in tutto il corpo. Il fiato mi graffiava i condotti dalla gola ai polmoni, le mie gambe continuavano a muoversi perché sapevano che non appena si fossero fermate sarei crollata. La mia testa era praticamente esplosa, e l'unico pensiero che riuscisse a prevalere sulle macerie era quello che mi spingeva a correre per arrivare in un posto sicuro il prima possibile.

Appena giunta innanzi alla porta che conduceva all'atrio del condominio in cui abitavo, finalmente mi fermai. La ragione mosse i primi incerti passi dentro di me. Mi resi conto che le condizioni pietose in cui mi trovavo – abiti e capelli fradici e insozzati di fango, espressione sconvolta in viso, un odore nauseante di sudiciume – avrebbero di certo destato delle domande.

Di raccontare tutto ai miei genitori non se ne parlava. Non avrebbero potuto capire. Se è per questo nemmeno io ci sto capendo niente...

Per tentare di spiegargli tutto avrei finito per farneticare e balbettare, e non sarei riuscita a esprimermi bene, perché la confusione di quanto appena accaduto mi mandava ancora in frantumi ogni pensiero di senso logico. Insomma, sarebbe stato un disastro e mi sarei solo messa più nei guai, perché non mi avrebbero creduto. E in effetti nemmeno io mi sarei creduta, perché quella storia era assurda. Inverosimile. Inspiegabile. In effetti, stentavo quasi a credere di averla vissuta davvero...

No. Era reale, di questo ero certa, ed era inutile mentire a me stessa.

Dovevo solo pensare una scusa abbastanza intelligente per... mi guardai. Gavettoni. Credibile, sensata, geniale. Inoltre erano sempre troppo buoni per infliggere vere punizioni, forse me l'avrebbero anche lasciata passare. Ero stata educata in modo tanto permissivo che c'era da stupirsi che non fossi diventata una ribelle attaccabrighe...

Però mento senza ritegno. Avrei dovuto fingere, ancora.

Non se lo meritavano, ma non avevo altra scelta.

L'archetto scorreva lentamente sulle corde del violino

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L'archetto scorreva lentamente sulle corde del violino. Ne uscivano ammalianti note di melanconica gioia. Le dita che tenevano la bacchetta erano magre e affusolate, le unghie corte mangiucchiate.

La pelle era bianca come neve appena adagiata al suolo.

L'arco prese a muoversi con più foga e dallo strumento esplosero note più movimentate, che parlavano di avventure e orrore, di meraviglia e di amore. A momenti la musica si alternava con il ritmo più lento di prima, producendo una melodia incerta, alternata di intensi fischi acuti e struggenti e melodici sbalzi.

Mi entrava nel cuore, me lo strappava in mille pezzi, e poi li riallacciava insieme.

Si trattava certamente di una canzone improvvisata sul momento dal suonatore. Per questo unica e irripetibile nel suo genere.

Era davvero complicato distinguere dei dettagli nell'ambiente buio in cui mi trovavo. Solo piccoli particolari. Il violino era di un caldo color ciliegio, finemente elaborato, non ero così esperta da saper dire se fosse antiquato o meno.

CEREBRUM ~ La figlia dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora