13.Gianduiotto?

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«Allora? Vuoi restartene lì impalata tutto il giorno o intendi deciderti a entrare?» La risata di Padma mi risvegliò dalla mia sbigottita contemplazione.

«S-sì, certo che voglio entrare. O almeno credo.»

Pad prese a spingere l'anta dell'ingresso, su cui fu nuovamente attirato il mio sguardo. Il bordo superiore disegnava una forma ad arco a sesto ribassato dalla cui chiave di volta sbucava una piccola asta verticale tuffata in un quadrilatero con un vertice che guardava il cielo. L'ultima volta avevo visto un simbolo simile sull'abito verde indossato su uno di quegli Arkonanti; l'unico tratto che lo distingueva era la mancanza della circonferenza intorno al quadrilatero. Poco sotto il simbolo emergeva una scritta contornata di ricercati orpelli, che sovrastava la raffigurazione stilizzata delle corna di un cervo.

«Ephia Cervini», lessi, «che significa?»

«I Cervini sono la famiglia Ephura a cui appartiene questa Ephia» spiegò Yoann, con fare professionale. «Se non sbaglio la costruirono poco dopo il 1950, quando la fabbrica aveva appena chiuso i battenti.»

Quell'affermazione mi stuzzicò un po' di sana acredine. «Quindi non aspettavano altro che chiudesse per costruirci qualcosa loro. Se non fosse stata bombardata, che avrebbero fatto? L'avrebbero distrutta loro per costruirci sopra?»

Yoann rise. «Quanto sei melodrammatica! No, ovvio che no, spesso le famiglie Ephure cercano per le Ephie luoghi abbandonati e in disuso, se non fosse stata bombardata, molto probabilmente avrebbero solo cercato un altro posto.»

Annuii distratta in risposta, calpestando con le mie banali scarpe da ginnastica il curato pavimento a mosaico dell'Ephia. Quello che aveva detto Yoann aveva senso, anche se qualcosa ancora mi puzzava. La storia mi aveva insegnato a guardare sempre con sospetto la spudorata ricchezza ostentata dalle grandi opere architettoniche; per permettere la creazione di capolavori di quel calibro, c'erano sempre stuoli di innocenti che ne pagavano il prezzo subendo saccheggi o sfruttamento.

Se Yoann percepì il mio pensiero critico non lo diede a vedere, forse intenzionalmente. Mmh, forse anche lui la pensa come me, ma non vuole ammetterlo...

«Questa non è niente a confronto delle altre Ephie» fece invece Padma, il nasino accartocciato nel biasimo, «quelle sì che sono oscenamente magnifiche nella loro superfiprovevolezza.»

«Eh?» Quella parola era assurda, ma la ignorai dato che il senso generale l'avevo intuito. «Altre Ephie?» chiesi invece.

«Certo, mica pensavi che gli Ephuri fossero solo a Torino! Un pensiero così egocentrista me lo aspettavo più da un americano» roteò gli occhi lei. «Seguimi, devi conoscere la Signora Cervini e il Signor Mindsmith, gli Ephianti protettori di questo posto.»

Sollevai le sopracciglia. «Mindsmith? Come Ewan?»

«Sì. Quell'imbecille è mio fratello.» Sobbalzai in risposta alla voce giunta da dietro. Voltandomi con un movimento fulmineo, scoprii a fissarmi dall'alto un ragazzo, le braccia tenute regalmente dietro la schiena. La sua testa superava la mia di appena centoventicinque millimetri, incrementati però a dismisura dallo sprezzante disgusto che emetteva la sua espressione nociva.

«Livia Aureliana Ferri, sbaglio? Sono Oliver Mindsmith. Mi segua...»

Senza nemmeno degnare nessuno dei tre di ulteriori occhiate, schivò con elegante ripugno Padma, e proseguì come aspettandosi che gli andassi dietro.

«Voi non venite?» non potei fare a meno di chiedere, non riuscendo a convincere le mie gambe a seguirlo.

Al loro posto, fu Oliver Mindsmith a rispondere: «Di solito le persone adulte vengono da sole, solo ai più piccoli permettiamo di venire accompagnati dai genitori. Se proprio preferisci, potremmo fare un'eccezione per te...»

CEREBRUM ~ La figlia dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora