59.Prendila

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«Liv!» mi rimproverò Will, guardandosi intorno preoccupato che qualcuno avesse udito il mio grido.

«Il tuo occhio... il mio...»

«Lo so, si somigliano.»

Dire che semplicemente si somigliavano era un eufemismo. Erano perfettamente identici, almeno per quanto riguardava l'iride. Ogni singola sfumatura di verde, da quelle più chiare a quelle più scure ai bordi della sfera: la copia esatta dei miei occhi.

Le ciglia che lo circondavano erano, invece, chiare e sottili, esattamente come per l'altro occhio. Ora che ci pensavo, l'avevo già visto un'altra volta, durante un incubo, mentre precipitavo dopo aver perso le mie ali; non accorgendomi delle ciglia, avevo pensato si trattasse del mio stesso occhio, quando invece era il suo.

«Ma co-come...?»

«È una lunga storia», tagliò corto lui, posando le mani sulle mie spalle per cercare di calmarmi e fissandomi con entrambi i suoi occhi eterocromatici.

Era quello, che ci univa? Il legame forte che avevo sempre percepito tra noi? Il fatto di possedere lo stesso occhio? Mi chiesi come fosse, a questo punto, la sua mente, siccome gli occhi solitamente ne erano la rappresentazione.

«Se vuoi posso rimettermi la maschera, capisco che potrebbe non essere facile da digerire», cominciò, avvicinando nuovamente la copertura al viso.

«No!» questa volta fui io a posare le mie mani sulle sue per fermarlo.

Se all'inizio mi ero spaventata era solo per lo sconcerto iniziale di trovarmi nuovamente, nello stesso giorno, faccia a faccia con qualcosa di talmente legato alla mia identità, come se qualcuno mi stesse scavando dentro l'anima per estrarne le parti più intime ed esporle, un pezzo dopo l'altro, davanti ai miei occhi, come una perversa satira della mia vita.

Questo però non toglieva che Will fosse bellissimo così com'era, perfetto in quello sguardo inquietante ma allo stesso tempo in grado di ammaliare fin nel profondo dell'anima. Senza contare che avevo sempre ammirato i miei occhi; pertanto, vedere il mio verde malachite abbinato con il suo grigio-azzurro era uno spettacolo senza pari, per quanto mi desse l'impressione di essere osservata da me stessa.

«No,» ripetei, questa volta più pacatamente, «sei fatto così, e non sopporto l'idea che tu debba nasconderti per me.»

Lui mi sorrise, poi con cura, sfilò la mia maschera e io lo lasciai fare. Era giusto così, anche lui aveva tutto il diritto di vedermi pienamente per come ero. Cercai di non pensare ai ciuffi di capelli che di sicuro mi si erano appiccicati sulla fronte e al modo in cui doveva apparire il mio viso dopo esser stato schiacciato privo di ossigeno dalla maschera per ore.

Dopotutto a Will non importava dei miei difetti, come a me non importava dei suoi. "Sei bellissima" sentii la sua voce nella mia testa. Non aveva avuto il coraggio di dirlo a voce, oppure gli era semplicemente sfuggito? Sarei rimsta per sempre con questo dubbio, perché poi lui abbassò il viso lievemente arrossato e ripeté, alzando il suo sguardo bicolore su di me: «Non abbiamo molto tempo».

«Va bene, capisco», annuii, spronandolo a continuare.

Gli altri Ephuri non ci avevano ancora individuati, così supposi che Will avesse comunque eretto una qualche protezione. In ogni caso, era vero, purtroppo non sarebbe durato per sempre, perché fuori da quel Carnevale, eravamo due persone diverse, appartenenti a luoghi separati tra loro, che mai avrebbero potuto congiungersi se non nel mondo onirico.

«Non sono l'unico a essere venuto qui a Venezia. Sono mascherati, quindi potrebbe essere difficile riconoscerli, ma-»

«Lo so, li ho visti prima, stai parlando degli Arkonanti, giusto?» lo interruppi.

CEREBRUM ~ La figlia dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora