88.Livia

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Ricordati che se ti nascondi dietro a tante maschere, alla fine scoprirai di non esistere.

-Milena Bergantin-

Quando le gocce di pioggia cominciarono a tintinnare sul ferro delle rotaie, bagnando i libri che riempivano gli alti scaffali del mio Clypeus, capii che il treno stava per arrivare

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Quando le gocce di pioggia cominciarono a tintinnare sul ferro delle rotaie, bagnando i libri che riempivano gli alti scaffali del mio Clypeus, capii che il treno stava per arrivare. Lì dentro avevo il massimo controllo su ogni particolare, era un gioco da ragazzi capire come muoversi e cosa fare. Tutte le emozioni provate quando l'avevo testato erano sommerse dalla razionalità della consapevolezza di finzione, anche se lo stesso non poteva dirsi dei miei ospiti, che tuttavia sembravano rassicurati dalla mia calma, esattamente come era accaduto a me qualche giorno prima quando era stata Padma a invitarci nel suo Clypeus.

Appena iniziò a udirsi il fischio del treno in arrivo e il tremore che avrebbe provocato la caduta dei primi libri verso il disfacimento e sopra le nostre teste, capii che era arrivato il momento.

«Correte!» gridai per farmi sentire oltre il frastuono, per poi cominciare a dirigermi a passo spedito nella direzione del fischio.

«Verso il treno?» domandò incredulo Yoann. Non fu necessaria una risposta.

Solo quando percepii la loro presenza, uno alla mia destra e l'altra alla mia sinistra, cominciai a correre con maggiore intensità, anche quando il terrificante treno con la faccia tribale – di cui andavo particolarmente fiera – faceva la sua comparsa sfrecciando verso di noi.

Al momento del progetto del Clypeus avevo scelto come unica via di fuga quella di correre verso il treno. Non ne ero del tutto sicura, ma lo vedevo come un modo per affrontare la mia paura, per corrergli incontro, batterla in velocità tanto da riuscire a trapassarla con la mia sola determinazione.

In quel momento decisi che un giorno l'avrei fatto per davvero.

Il momento dell'impatto fu talmente rapido che nemmeno lo percepii. Semplicemente un attimo prima gli stavamo solo correndo incontro, e l'attimo dopo eravamo circondati da forme e luci indistinguibili che gridavano nelle nostre orecchie, semplici strisce colorate che però non potevano toccarci, perché noi eravamo più veloci.

Quando tutto finì, ci trovammo innanzi a una porta senza maniglia, immersa nell'improvviso silenzio in cui si udiva solo il suono dei nostri respiri affannati. "Ci siamo" pensai.

Ero davvero pronta? Mi voltai verso gli altri due Ephuri, che si tenevano a buona distanza l'uno dall'altro, i segni del litigio appena avvenuto riscontrabili anche solo negli occhi di quelle semplici proiezioni mentali di loro stessi.

Sì, dovevo esserlo. Per loro. Per me.

Aprii la porta, e non appena furono entrati, la chiusi dietro di me, trovandomi però all'improvviso fuori e allo stesso tempo dentro a ogni cosa che si trovava in quello spazio.

Ero estranea spettatrice onnisciente e intima anima che si celava in ogni piccola essenza presente. Ero il profumo di carta appena stampata, di inchiostro e di pioggia. Ero ognuna delle copertine rigide dei manoscritti, ero il legno scuro degli scaffali e quello caldo e rosso delle pareti. Spiravo dalle volute verdi malachite provenienti dalla finestra e accarezzavo sotto forma di venticello leggero i capelli voluminosi di Yoann e la guancia di Padma. Scorrevo, come liquido, nella fontana a forma di arco da cui zampillava il mio presente, il quale si posava sul libro in corso di scrittura. Con mille mani o con nessuna toccavo, sfioravo, accarezzavo ogni cosa, in particolare gli ospiti presenti, e allo stesso tempo erano loro a toccare qualcosa di me; la flebile luce azzurra e quella castana dei loro occhi, che ne contornava i corpi, sembrava sfiorare cautamente qualcosa di tanto fragile da rischiare di essere danneggiato per sempre con un solo passo falso.

CEREBRUM ~ La figlia dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora