17.Un sogno misterioso

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Il violinista era di spalle e, questa volta, non stava suonando.

La stanza era ancora avvolta in un manto d'ombra; mi venne da chiedermi perché quel tipo stesse sempre al buio. C'era una motivazione precisa?

Camminava. Il passo era frettoloso. Preoccupato.

Di lui vedevo solo il capo, adornato da corte ciocche d'argento. Risaltavano l'ossatura del collo magro e le spalle esili, che ne tradivano un aspetto più giovane di quanto il colore dei capelli avrebbe potuto lasciar intendere. Gli indumenti che aveva indosso erano così tetri da confondersi con l'ambiente circostante. La realtà sembrava costituita interamente di quel nero piatto e monotono, senza tridimensionalità né forma. Aveva inghiottito tutto tranne quella singola testa, di spalle, che continuava a muoversi imperterrita, come se dietro ci fossero le fiamme dell'inferno a inseguirlo.

«Dove stai andando?» chiesi.

In qualche modo, io ero lì a camminare insieme a lui, Eravamo l'uno consapevole della presenza dell'altra. Ogni particolare, però, era avvolto nella nebbia, impedendomi di mettere a fuoco.

La cosa strana era che per quanto tutto fosse confuso... mi sembrava di conoscere alla perfezione quel poco che vedevo di lui. Eppure non avevo la più pallida idea di chi fosse. Mi sentivo all'interno di un quadro impressionista in cui il pittore avesse esagerato con le tinte cupe: percepivo pennellate di colori e una sorta di consapevolezza di quel che vedevo, ma mi era impossibile conferire un aspetto definito alla realtà.

Nell'oscurità si delineò il contorno di una porta. Lui l'aprì e la richiuse dietro di noi.

«Al sicuro da orecchie indiscrete.» La voce, giunta in risposta alla domanda che gli avevo posto prima, era invece nitida.

Il ragazzo si girò parzialmente verso di me. Il suo profilo in controluce non mi permise di distinguere nulla di più del naso ingobbito che guardava verso il basso con una sorta di consapevole e mesta saggezza. Mi ricordava tantissimo il naso del famoso profilo di Dante Alighieri. I miei occhi non riuscivano a rifiutarsi di osservarlo, incantati da quell'unico particolare che emergeva a spezzare l'oscurità.

«Perché è tutto buio?» chiesi, anche se avrebbe avuto più senso chiedergli come si chiamava e chi fosse. Era come se una parte di me - quella che aveva il controllo - già sapesse tutto di lui.

«Dimmelo tu. Io non ho controllo qui, e tu lo sai.» Usava un tono confidenziale, come se fosse abituato da sempre a parlare con me. Come se mi conoscesse da anni.

«Quello che mi chiedo è perché tu ti ostini a non vedere. Perché ti oscuri la vista? Qual è il motivo per cui non la ritieni, anzi, mi correggo, non ti ritieni pronta a ricordare?»

Mi concentrai per cercare di capire le sue parole. Non avevano il minimo senso logico.

«Will... lo sai perché...» risposi e, mentre lo dicevo, sapevo esattamente di cosa stavo parlando, ma semplicemente un attimo dopo non ne avevo la più pallida idea.

Come diamine faccio a conoscere il suo nome?

«Sei pronta. Lo sai. Hai solo paura di quello che potrebbe succedere. Lascia che ti aiuti...»

Will si avvicinò e io potei distinguere un luccichio negli occhi chiari. Solo un luccichio, nulla di più, perché all'improvviso si sentì bussare forte. Fu un pestello che polverizzò nel mortaio di ombre ogni speranza di scoprire qualcosa di più su quel Will.

«Oh, no...» La sua voce trasmetteva un'angoscia così insistente che ne venni avvolta pure io. Chi c'è là fuori?

«Liv... ora devi ascoltarmi attentamente» emise in un sussurro rapido e frettoloso, mentre il bussare alla porta si faceva più insistente. «R.R.R. è il mecenate dei perduti. R.R.R., capito? Si trova-»

CEREBRUM ~ La figlia dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora