Capitolo 42

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~ Cris ~

Arriviamo a casa dei miei, entriamo dal cancello aperto quando si aspetta gente. La vecchia abitudine di nonna è immortale. Nel piazzale davanti casa c'è sempre l'enorme albero con sotto la panchina in pietra. «Lì sedevo sempre con nonna Iana, quando mi raccontava le sue storie. Anche quando si era ammalata mi chiedeva di accompagnarla a sedere lì, per prendere un po' di aria» le dico con gli occhi lucidi. I suoi occhi si inteneriscono, mi torna in mente quello che c'è scritto sul fianco della panchina e la porto lì a farglielo vedere.

«Guarda qui.» Le mostro il mio nome scritto in modo particolare.

Lei lo legge attentamente e mi chiede: «È Cris più Iana?»

«No, nonna faceva la T come una croce, io quando lei lo scrisse avevo sette anni e le chiesi se ci dividesse una croce. Lei rispose che la croce non ci divideva, ma ci univa perché era l'amore di Gesù. Poi nel tempo io mi sono impegnata a scalfire la scritta così non si sarebbe mai cancellata» le spiego e mi sembra di rivivere quei momenti.

«Come sei dolce quando parli di lei» mi dice guardandomi con quel mare negli occhi, e devo distrarmi per non baciarla. Sì, è un pensiero fisso per adesso, lo ammetto!

«Dai andiamo, ci stanno aspettando»

Busso alla porta e quando si apre ci troviamo davanti mio fratello che urla: «È arrivata la zia Cris, venite bambini.»

Zia Cris, rimbomba nella mia mente. Entriamo accolte dai bambini che ci corrono incontro e mi abbracciano come se mi conoscessero da sempre. Il più grande di loro mi chiede indicando Roby: «Lei chi è?»

Mia madre che arriva dietro di lui risponde: «È la zia Roby.»

Roby mi guarda in modo strano, io non ho il tempo di smentire. Ci fanno strada verso la sala da pranzo, dove da piccoli si mangiava solo per le grandi feste o gli avvenimenti importanti. La tavola è apparecchiata con il servizio buono e ci sono anche quei bicchieri di cristallo che ho sempre visto nella vetrina della sala. Le uniche volte che li tenevo in mano, quando vivevo qui, era per spolverarli, perché non si potevano usare, erano i bicchieri buoni, non si dovevano rompere.

Anche Roby nota la sontuosa tavola, curata nei minimi dettagli. «Il ritorno del figliol prodigo» mi sussurra sorridendo.

Sono tesa, ma i bambini tornano a circondarci e si presentano: il più grande è figlio di mio fratello e ovviamente, come si usa in Sicilia, prende il nome del nonno paterno, Gaetano. Ha sette anni e gli chiedo: «Ti fai chiamare Gaetano o Tano come il nonno?»

«Quale Tano? Lui è Gaetano» risponde mio fratello al suo posto. Sua sorella si chiama Maria, come mia madre e ha cinque anni, è una bambina paffutella timidissima. Poi è la volta di Rosaria, sei anni, la figlia più grande di mia sorella e l'ultima ha tre anni e i capelli ricci come i miei. Mia sorella la incita a parlarmi: «Dì alla zia come ti chiami.»

Lei con molta timidezza, stropicciandosi il vestitino risponde: «Chis come te.» lo dice male, ma mi si stringe il cuore.

«Le ho dato il nome tuo e di nonna, mi è sempre piaciuto e tu ci mancavi.»

Nello stesso istante in cui pronuncia quelle parole, gli occhi le si riempiono di lacrime e mi abbraccia sussurrandomi: «Perdonami, perdonaci tutti.»

«Ti chiediamo assai lo so. Non siamo stati all'altezza figlia mia. Siamo persone semplici, erano tempi diversi» aggiunge mia madre, in lacrime anche lei a due passi da me.

Non mi aspettavo tutto questo, alzo il braccio per invitarla in quell'abbraccio con mia sorella, mi sembra tutto irreale.

Giro lo sguardo e vedo mio padre con gli occhi lucidi, seduto a capo tavola con la testa china a guardarsi le mani, e continua a strofinare quella con cui mi ha colpito. «Quante volte tua madre mi diceva di chiamarti e io sapevo che dovevo farlo, ma non ho trovato mai il coraggio. Non sapevo che dirti, mi vergognavo. Avevo fatto quello che mia madre non ha mai voluto, con questo rimorso ho vissuto, ho tradito lei e te.»

Fermate il mondo... Ci sono anch'io! - 1 ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora